mercoledì 15 gennaio 2014

Madonna del Pilone: piacevolmente scollinando

Madonna del Pilone (Madòna dël Pilon in piemontese) è un ampio quartiere precollinare e collinare, situato nella VII Circoscrizione di Torino e posto al confine nord-orientale della città.
Il quartiere confina nord con il quartiere Barca e il comune di San Mauro, a ovest con Vanchiglia (e il Po a segnare il confine), a sud con Borgo Po e  a ovest con i comuni di Pecetto e Pino Torinese; il quartiere è delimitato da Corso Chieri, Strada Mainero, Strada Val San Martino, Corso Gabetti, il fiume Po, e il confine con i comuni di San Mauro, Pecetto e Pino Torinese; in dettaglio la linea di confine sale dal Po lungo la Valle del Rio di Costa Parigi, corre in gran parte fra boschi, interessando zone con ridotta presenza abitativa e ridiscende al Po lungo la Val San Martino.


Il nome del quartiere deriva dalla Chiesa della Madonna del Pilone situata in corso Casale 195, che a sua volta prende il nome da un pilone votivo che rappresentava la Ss. Annunziata, eretto sulla riva del Po nel 1587, nei pressi del quale il 29 aprile 1644 si verificò un evento ritenuto miracoloso, in ringraziamento del quale fu eretta la chiesa che inglobò il pilone. La costruzione, finanziata con le offerte dei fedeli e sostenuta da Maria Cristina di Francia, iniziò nel 1644, e l'edificio venne aperto al culto il 25 marzo 1645. Nel 1779 si effettuò un ampliamento, mentre il battistero e il coro risalgono rispettivamente al 1807 e al 1817. La chiesa presenta interno a navata singola con due cappelle laterali, e cupola con tiburio ottagonale; la facciata è sormontata da un timpano semicircolare. L'altare maggiore conserva l'immagine cinquecentesca dell'Annunziata, che però è stata ridipinta nel corso degli interventi di restauro effettuati nel 1925 e negli anni 1960, che comportarono anche modifiche degli interni. Tra gli artisti che lavorarono alle decorazioni originali Giovanni Antonio Mari, Giovanni Andrea Casella, di cui rimangono gli stucchi, e Bartolomeo Guidobono, al quale sono da attribuire gli affreschi della cupola.

Il quartiere ha visto la presenza d'insediamenti umani da epoche remote. La fertilità del suolo insieme alla ricchezza ittica del fiume Po hanno da sempre attratto soprattutto agricoltori e pescatori ma dal periodo rinascimentale iniziarono ad insediarsi anche piccole botteghe artigiane. Sul finire del settecento alcune botteghe artigianali si trasformano in organizzate attività industriali. Sulle rive del Po nacquero fabbriche di maiolica, vetro, sapone, tintorie. Nella maggior parte dei terreni collinari venivano invece coltivati vigneti: la coltivazione della vigna per produrre un vino sempre migliore assunse una connotazione di status symbol tra le famiglie nobiliari torinesi e questa competizione stimolò la ricerca mettendo le basi del futuro successo piemontese in ambito enologico. A partire dalla seconda metà dell'ottocento, vennero edificate molte case residenziali di pregio nell'area vicina al fiume, il piccolo borgo agricolo diventò negli anni uno dei quartieri residenziali torinesi più amati ed ambiti e anche la collina subì profonde trasformazioni, dove sparirono le vigne per far posto a lussuose ville di facoltosi torinesi.

Il nostro percorso nel quartiere inizia su corso Casale in corrispondenza del Parco Michelotti, che sorge sui resti del canale che l’omonimo ingegnere costruì nel 1817 per fornire d’energia tutta la zona di Madonna del Pilone, allora ricca di realtà produttive. I nuovi sistemi di approvvigionamento energetico ne decretarono il suo abbandono funzionale e nel 1935 fu riempito con le macerie provenienti dalla demolizione degli edifici di via Roma. Il parco sorge vicino al centro della città ed è rimasto nella memoria dei torinesi come sede del vecchio zoo. Aperto dal 1955 al 1987 il giardino zoologico di Torino è stato un’importante attrazione turistica per la città basti pensare che nel 1971 ospitava più di 2500 animali tra mammiferi, uccelli, pesci e rettili.
Dopo la chiusura dello zoo nel marzo 1987 l’area all’ interno della recinzione è chiusa al pubblico e solo parzialmente utilizzata: la zona centrale ospita gli animali rimasti, la parte verso la Gran Madre è scuola di giardinaggio per i ragazzi di una cooperativa, la zona vicino al ponte Regina Margherita è occupata dalla bocciofila e in parte recuperata a parco e chiusa. Nell’estate 1991 il parco è stato “palcoscenico di intrattenimento” per il pubblico della città: piano bar, ristorante, spettacoli teatrali, sfilate di moda hanno richiamato un folto pubblico. La circoscrizione 8 il 25 giugno 1991 in un’assemblea aperta nella biblioteca Geisser ha discusso le prospettive di utilizzo del parco e la richiesta, con la raccolta di firme, della riapertura immediata della parte chiusa al pubblico e delle trasformazioni, della manutenzione e della sicurezza dei vari impianti. La delibera programmatica del 1988 con il progetto preliminare al Piano Regolatore di Torino del 1991 dà una notevole importanza alla “Valle del Po” prospettando possibili e consistenti trasformazioni. Il parco del Po diventa una grande area per lo svago con attrezzature ricettive agli estremi, attrezzature sportive e nautiche diffuse, luoghi di sosta e di ristoro. Il fiume diventa navigabile grazie a due chiuse in tutta la sua estensione.


Si prosegue quindi lungo il Po, scegliendo se passeggiare sotto i platani sulla riva del Po incontrando i numerosi runner oppure seguire corso Casale ricca di locali e spazi commerciale, soprattutto in piazza Borromini dove si tiene giornalmente uno dei mercati rionali più storici della città, per raggiungere sulla destra il Motovelodromo Fausto Coppi, che, esempio di architettura strettamente funzionale alle attività sportive degli anni Venti, come lo Stadio Filadelfia, ha ospitato in passato gare di ciclismo su pista, partite di calcio e di rugby, ed è faticosamente sopravvissuto ai giorni nostri perdendo però l’originaria funzione. 

Il Motovelodromo viene costruito nel 1920 su progetto di Vittorio Ballatore di Rosana, che con lo Stadium si è dimostrato come uno dei più qualificati tecnici di grandi impianti sportivi. Il Motovelodromo inizialmente, oltre all’ingresso – un arco a tre fornici neoeclettico – e alle biglietterie, presenta due tribune sui lati lunghi della pista; nello spazio vuoto all’interno di quest’ultima vi è un campo da calcio (il Torino vi giocherà il campionato 1925-1926); sotto le tribune vi sono servizi e locali per gli atleti. Tutta la struttura è in calcestruzzo armato a vista, completamente priva di decorazioni, con copertura lignea. In un secondo tempo la Società Anonima Motovelodromo Torinese, animata dall’impresario Riccardo Filippa, che lo ha costruito, chiede di erigere un’ulteriore tribuna sulla curva ovest, sotto la quale vengono ricavati ulteriori servizi. Le intemperie e la grande affluenza di pubblico (circa settemilacinquecento posti) accelerano il degrado dell’impianto, che richiede costi di manutenzione elevatissimi. La Società proprietaria non ha i fondi necessari per la manutenzione, mentre l’amministrazione comunale concede solo contributi una tantum, quando le manifestazioni sportive che vi si tengono (1927, 1928, 1932) sono indette dalla città. Nel 1935 l’impianto viene acquistato dal Comune che successivamente lo cede all’Unione Velocipedistica Italiana. Nel 1943 il Motovelodromo viene colpito dai bombardamenti e subisce notevoli danni alle tribune e alla pista, ovviate con ricostruzioni provvisorie in legno.

Nel 1947 l’impianto viene ricostruito secondo il progetto e con i materiali originali. Oltre al ciclismo, il Motovelodromo ospita, nel campo interno, partite di rugby. Qui, nel 1947, la sezione dedicata alla “palla ovale” della Reale Società Ginnastica vince, per la prima e unica volta, il campionato italiano. Intorno agli anni Ottanta l’interesse del pubblico per il ciclismo su pista cala notevolmente; la Soprintendenza intanto pensa a un progetto di tutela e vincolo dell’impianto, ufficialmente dedicato a Fausto Coppi nel trentennale della morte del campione, mentre la mancanza di manutenzione, i vandalismi e gli incendi accelerano il processo di degrado. La città di Torino redige un progetto di ristrutturazione con il rifacimento e il restauro delle tribune, delle coperture, dei locali di servizio ma non della pista; nel 1994 il complesso viene vincolato dalla Sovrintendenza, bocciando quindi il progetto comunale di radicale trasformazione.
Attualmente viene utilizzato solo il campo sportivo all’interno del grande anello per attività non sportive, come la manifestazione “Mercanti per un giorno”.

Proseguendo ulteriormente sul Corso Statale, la strada, discontandosi leggermente dal lungo Po, porta verso le due borgate del quartiere che confinano con il quartiere Barca: Borgata Rosa e Borgata Sassi. Le due borgate, per realtà territoriale chiamate con un unico nome Borgata Rosa-Sassi, sono situate in territorio precollinare e dispongono sul loro territorio di ampi territori adibiti a verde.
Agli inizi dell'Ottocento, sul lato destro di Corso Casale, la famiglia Rosa aveva impiantato una fornace per la fabbricazione dei mattoni, dal quale si presume che derivi il nome dato alla borgata. Viene, infatti, citato in zona un gruppo di case denominato tetti Rosa. Borgata Rosa è nota per il Parco del Meisino situato sul suo territorio su un'area di 450.000 m². Tra Madonna del Pilone e Sassi non sboccano valli, ma si estende un pendio relativamente ripido, che domina l'ansa del Po in corrispondenza della confluenza della Dora. La posizione era strategica, perché controllava il traghetto sul Po (dove si trova l'attuale ponte di Sassi), la strada lungo il fiume, il bosco del Meisino, l'imbocco delle valli di Mongreno e di Reaglie e quindi gli accessi a Chieri. Non si stupisce pertanto che sin dal medioevo qui si trovasse un castrum, appartenente alla famiglia Necchi, che godeva anche dei diritti di pesca e di navigazione sul Po in questo tratto.

Borgata Sassi è sita al termine delle vallate di Mongreno e del Cartman ed anche della strada per Superga ed è posta tra Borgata Rosa e Madonna del Pilone. L’ex chiesa parrocchiale di Sassi in stile romanico (anticamente alle dipendenze di quella di Madonna del Pilone) sormonta  un nucleo consolidato, ora ricco di attività commerciali, che si snoda lungo la vallata con numerose ville, edifici di pregio, mentre lungo il Po corrono le piste ciclabili. A Sassi sono state trovate le tracce (un anellone in pietra del neolitico) delle prime presenze dell’uomo nel torinese e sempre a Sassi la presenza di mulini e fornaci fino al secolo scorso testimoniano l’importanza di questa borgata nella storia. Una tra le ville signorili della precollina è sicuramente Villa Sassi, , già Di Roddi, la cui struttura planimetrica a «C» fornita dal Grossi risulta già variata all'inizio dell'Ottocento, quando viene aggiunto un corpo di fabbrica sul lato Sud.  Oltre a Villa Sassi, altre interessanti sono Villa Capriglio e Villa Bocca, entrambe settecentesche. Borgata Sassi è nota però soprattutto per l'omonima stazione di testa della Tranvia Sassi-Superga.

La Tranvia Sassi–Superga (nota anche come Dentiera) è una linea tranviaria collinare a cremagliera di Torino, facente parte della rete tranviaria cittadina, gestita dal GTT. Essa collega il quartiere precollinare con la collina di Superga ad un'altitudine di 672 metri. Sulla sommità del colle, uno dei più alti dell'area collinare torinese, è presente la nota basilica omonima, da cui si gode un notevole panorama sulla città attraversata dai fiumi Po e Dora, con lo sfondo dell'intero arco alpino.
La linea venne inaugurata il 27 aprile del 1884 come prima funicolare a vapore adottante il sistema Agudio, che consisteva in un cavo di acciaio che, scorrendo accanto al binario, azionava due grandi pulegge a lato del convoglio che, a loro volta, muovevano gli ingranaggi che spingevano il treno. Dopo un incidente la linea venne convertita in una cremagliera elettrica e venne riaperta il 16 aprile del 1935; lungo la linea si possono ancora vedere le guide dei cavi usati in precedenza. Caduta in disuso negli anni settanta, la cremagliera venne riattivata negli anni ottanta a seguito di una necessaria manutenzione e un restauro delle vetture, tornando ad essere una delle principali attrazioni turistiche del capoluogo piemontese.

La linea attuale utilizza una cremagliera Strub a binario unico: si sviluppa su 3.100 metri con uno scartamento ordinario di 1.445 mm che tuttavia consente di superare agevolmente il dislivello di 425 metri con una pendenza massima del 21% nell'ultimo tratto. La linea è elettrificata con una terza rotaia a 600 V a corrente continua e, sebbene viaggi interamente su sede riservata, la linea ha molte caratteristiche di una ferrovia secondaria ma la "marcia a vista" la fa classificare come semplice tranvia.
Il percorso sinusoidale, che comprende tre ponti e due gallerie, è costituito complessivamente da quattro stazioni e prevede, solo su richiesta, anche due fermate intermedie: Raddoppio e Pian Gambino. Il treno ha una capienza di 210 passeggeri e, con una velocità massima di 14 km/h, impiega approssimativamente sedici minuti per completare il tragitto tra le due stazioni. Le motrici sono state realizzate nel 1934 contestualmente all'elettrificazione e alla trasformazione della linea in cremagliera, mentre le vetture a rimorchio sono quelle originali e risalgono al 1884. Il deposito presente alla stazione Sassi non ha cremagliera, né terza rotaia elettrificata, quindi i locomotori vengono manovrati da un piccolo tram elettrico a pantografo.

Sulla Collina di Superga, svetta imponente secondo gli stilemi del barocco piemontese l’omonima Basilica; voluta da Vittorio Amedeo II a compimento di un voto e dedicata alla natività di Maria, la basilica venne eretta da Filippo Juvarra nel 1717 – 1731, in posizione strategica. L’esterno, con profondo pronao, è caratterizzato dalla svettante cupola con alto tamburo, affiancata dai due campanili simmetrici, che si innestano sulle ali dell’annesso convento. Nell’interno a pianta circolare si aprono due cappelle principali e quattro secondarie. Alla destra dell’altare maggiore si accede alla sagrestia, ed alla sinistra alla Cappella delle Grazie o del Voto, con la statua della Madonna. Dall’ingresso a sinistra della basilica si scende nei sotterranei dove sono collocate le tombe dei Re, da Vittorio Amedeo II a Carlo Alberto, e dei principi, sepolti dal 1731 in poi.
Una galleria conduce alla cappella centrale (1773 – 1778), ornata di marmi e stucchi, dove si possono ammirare le statue della Fede, della Carità, della Speranza e del Genio delle Arti, opere spettanti ad Ignazio e Filippo Collino (1778). 

Il 4 maggio 1949 l'aereo che, di ritorno da Lisbona, stava trasportando i giocatori del Grande Torino, si schiantò contro il muraglione della basilica di Superga, causando la morte dei giocatori, dei dirigenti, degli accompagnatori, dell'equipaggio e di tre giornalisti sportivi. L'impatto emotivo fu enorme, anche perché la squadra torinese era stata uno dei vanti della nazione in ambito sportivo: quasi un milione di persone parteciparono ai funerali, a Torino. I muri distrutti dall'impatto sono ancora visibili, in quanto si è deciso di non ricostruirli. Il tragico evento è ricordato da una lapide sul retro dell'edificio meta di pellegrinaggi di sportivi e non; ogni 4 maggio infine si celebra una messa solenne in ricordo delle vittime.

A detta di molti, quello che si vede dalla Collina dI Superga è il più bel panorama sulla città di Torino con le Alpi sullo sfondo.

Ritornando a valle si possono imboccare altre due valli ad alta valenza naturalistica: Mongreno e Reaglie. La zona di Mongreno è posta nella valle che, grazie alla realizzazione della statale 10 e del “Traforo”, unisce Torino con Pino Torinese e Chieri e si compone di residenze sparse lungo le valli che segnano la collina torinese. Reaglie, che ha un significativo nucleo abitativo, si trova a metà dell’ampia vallata dove scorre il Rio Reaglie e dove convergono alcune vallate  minori. La valle è fin dall’antichità un’importante via verso Pino Torinese e Chieri, comune in età basso medievale molto più potente della stessa Torino e che affittava un mulino sul Po a dimostrazione degli scambi intensi di popolazione che usavano le valle. Numerosi sentieri nei parchi e nei boschi collegano queste località con gli altri punti d’interesse della collina torinese e le loro numerose “piole” sono da sempre mete di torinesi e turisti.

Le origini dell’insediamento di Reaglie risalgono all’antichità, quando ancora il resto della collina torinese era scarsamente coltivato o abitato. I documenti attestano, almeno sin dal 1474, che l’Ordine di Malta era proprietario nella valle di tre cascine, prevalentemente dedite alla coltura della vite e del bosco: l’Osteria, corrispondente all’attuale civico 153 di Corso Chieri, la Commenda, la più nobile e ora appartenente al civico 47 di Strada Calleri, il Tetto di Abramo, non meglio identificata. La chiesa stessa, intitolata all’Assunzione di Maria Vergine, faceva parte dei possedimenti dell’Ordine: da piccola cappella della Commenda Gerosolimitana di epoca medioevale, diventò Parrocchia nel 1630, quando la Valle era già popolata da circa 450 abitanti. Seriamente danneggiata dalle truppe mercenarie operanti a servizio della Spagna durante l’assedio di Torino del 1640, fu riparata nei tre anni successivi. Fino ad inizio dell’Ottocento la chiesa si presentava di ridotte proporzioni (15×4,5 mt), ad una sola navata, con annessi sulla destra, guardando la facciata, un piccolo campanile, la sacrestia ed i locali per l’abitazione del parroco. Nel 1883 l’impresa reagliese dei fratelli Gilardi costruì l’attuale campanile che, alto ed esile, posizionato a filo della facciata, dall’altra parte della navata rispetto al precedente, convisse per sedici anni con la vecchia e bassa chiesa. Quest’ultima, anche se nel corso dei secoli fu oggetto di numerosi interventi di restauro e di ampliamento, venne, infatti, ricostruita nel 1908, ingrandita ed innalzata e fu creato il transetto laddove prima era situata la fossa cimiteriale. Anche il fronte, dall’austero impianto di origine medievale, venne sostituito con una ricca e decorata facciata di ispirazione barocca, caratterizzata da due grandi colonne binate che sostengono l’architrave del frontone.

Da Reaglie è possibile raggiungere i Tetti Forni e Goffi; Tetti Forni costituiscono un’amena borgata che, pur essendo esposta a settentrione, declina dolcemente verso il fondovalle, venendo così lo stesso raggiunta dai raggi del sole; il nome della borgata sembra abbia origine non tanto per l’eventuale presenza di forni per la panificazione, ma piuttosto per la zona di provenienza di alcuni suoi precedenti abitanti:  Forno Canavese. In corrispondenza dell’incrocio per Tetti Goffi, altra borgata della zona collinare, si trova un quadrivio che gli abitanti della frazione chiamano in modo ironico per la sua relativa centralità Piazza Castello. La villa sovrastante denominata a fine Settecento col nome di “Gros, vigna del signor Caresana”, ebbe a metà Ottocento un insigne proprietario nel conte e scrittore Canubio di Torretta.

In zona è possibile sperimentare una delle migliori osterie tradizionali della collina torinese: l’Unione Familare Reaglie (Corso Chieri 124), che, seppur a pochi km dal centro di Torino, sembra di essere altrove; una trattoria come ne rimangono poche in Langa o in montagna con le sedie in legno lavorato e i paralumi di stoffa a quadrettini rossi e bianchi. La madia all'ingresso con le bottiglie di vino, gli antipasti freddi sui lunghi piatti di portata e i dolci in belavista ti fanno entrare nell'atmosfera della trattoria e ti fanno pregustare quello che sarà (davvero) un ottimo pranzo, rigorosamente a menù fisso (nel fine settimana a 27 euro con 5 antipasti, 2 primi, 2 secondi con contorno, dolce, acqua, vino e caffè).

Si inizia con un saporito e morbido cotechino verace (distante anni luce da quelli precotti e della grande distribuzione) servito con lenticchie (anche queste con un ottimo sughetto di verdure), peperoni con bagna cauda, tomino elettrico, uova ripiene con salsa aurora ed un eccezionale vitello tonnato, risotto al rosmarino (con perfetta cottura e mantecatura), discreti ravioli al sugo di pomodoro, deliziose costine di maiale al forno e saporito spezzatino di vitello al vino, accompagnati da abbondanti e buone patate al forno; per concludere noi abbiamo scelto una panna cotta e un bunet della tradizione (entrambi ottimi), ma avevano un ottimo aspetto anche la crostata cioccolato e pere, le pere cotte al vino con le prugne, le arance caramellate e una torta alle nocciole ripena, caffè Vergnano e un amabile e buono Barbera sfuso. Servizio veloce e attento, da ritornare anche nella bella stagione (quando si mangia sotto il pergolato) e si assaporà un po’ della frescura tipica della collina torinese.

Da qui il confine con il comune di Pino Torinese è vicino e vale la pena fare qualche km in più (con la bicicletta o l’auto) e spingersi fino all’interessantissimo “Infini.to - Parco Astronomico” (Via Osservatorio, 8 - Pino Torinese ) che nasce nel 2007 come centro di didattica e divulgazione dell'astronomia e della fisica spaziale. Adottando le moderne tecniche espositive basate sull'interattività, offre al pubblico le più avanzate conoscenze sull'Universo; in questa prospettiva la vicinanza del Museo e del Planetario allo storico Osservatorio Astronomico di Torino è intesa a favorire un contatto diretto tra ricerca e divulgazione. 

Infini.to unisce un'area espositiva dedicata all'esposizione delle più recenti scoperte della moderna astronomia a uno dei Planetari più avanzati d'Europa. Il museo interattivo è uno spazio per ripercorrere l'avventura dell'uomo al cospetto dell'Universo, andare alla scoperta dell'origine del cosmo, capire com'è fatto e quali forze lo regolano, vivere lo spettacolo dello spazio.

Si comincia dal piano terra e si scende per tre livelli, entrando sempre più in profondità nei segreti dell'Universo. Ipazia, Galileo, Lagrange, Hubble, Einstein, alcuni fra i più importanti scienziati accompagneranno i visitatori in un viaggio che percorre le tappe fondamentali delle scoperte astronomiche a partire dalle antiche civiltà sino ad oggi. Alla fine del percorso si entra nel Planetario digitale: seduto una poltrona è possibile immergersi negli infiniti spazi dell'Universo per rivivere le origini del cosmo, visitare pianeti, osservare il cielo lontano dall'inquinamento luminoso e molto altro ancora.

Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti:
L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro



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