venerdì 27 settembre 2013

Crocetta: la città dei 'ricchi a metà' tra storia, ferrovia e servizi


 
La Crocetta (La Crosëtta in piemontese) è un quartiere della I Circoscrizione di Torino, poco più a sud rispetto al centro storico cittadino delimitato a nord da Corso Vittorio Emanuele II, a est da Corso Turati e da Via Sacchi, a ovest da Corso Mediterraneo e a sud da Corso De Nicola.
Storicamente una delle zone residenziali di maggiore prestigio, cominciò a svilupparsi a partire dal XVII secolo intorno all'omonima chiesa della Crocetta. (attuale Beata Vergine delle Grazie). Tra l'Ottocento e il Novecento ha raggiunto il suo massimo sviluppo urbanistico mantenendo la fama di quartiere aristocratico.



La zona compresa fra Corso Re Umberto e la Stazione di Porta Nuova è conosciuta come Borgo San Secondo ed è stata edificata a partire dal 1850 dopo lo spostamento della Piazza d'Armi ad ovest di Corso Re Umberto. Il nome del borgo si deve all'omonima chiesa, costruita per volontà di san Giovanni Bosco su progetto di Giuseppe Formento e consacrata l'11 aprile 1882,  che rappresenta un esempio di costruzione nel gusto neo-medievale. La chiesa è stata costruita nel 1867; mentre la canonica, sempre del Formento, nel 1874.

La Crocetta, come San Donato e Cit Turin, conserva interessanti eduifici in stile liberty, eclettico e neogotico progettati a cavallo tra l’800 e il 900.
In Corso Re Umberto 65, 67, nell’isolato compreso tra Corso Sommeiller e Via Governolo, si trova Casa Crescent, un edificio di gusto floreale ed organico di inizio Novecento, il cui nome francese si riferisce alla luna (crescente) e dunque il senso è casa a mezzaluna. L’edificio è stato progettato dal Vivarelli e realizzato nel 1911. Caratteristico è che questa casa si specchia idealmente in un'altra casa a 'crescent' poco distante, casa Gamna progettata dal Frapolli nel 1905.in corso Galileo Ferraris. Esse sono due case simili e probabilmente non a caso riflesse dall'asse di corso Einaudi.

In via Legnano si scopre un altro angolo raccolto e poco convenzionale del quartiere: ai n. 23 e 25 il medievalleggiante palazzotto d’Entereves in mattoni a vista e finestre a trifora e, poco dopo di fronte, un passaggio privato con una fila di casette di tre o quattro piani con facciate dai colori pastelli, che sembrano dei palazzi parigini in miniatura.




Spostandoci verso l’asse di via Sacchi, con i suoi portici – i più periferici dei 18 chilometri presenti in città, e via Turati, troviamo Casa Rey in Via Massena, 20, progettata dell'architetto Camillo Riccio nel 1885, Casa Giraudi costruita su progetto di Eugenio Bonelli nel 1906 in stile liberty all’angolo tra via Papacino e via Revel. 

Altro siginificativo esempio dello stile liberty in zona, è la casa progettatata da Eugenio Mollino, padre del designer Carlo, all’angolo tra via Massena e Via Filangieri.



L’Ospedale MaurizianoUmberto I lega la sua esistenza alla Sacra Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro, l’ordine cavalleresco sabaudo che venne riconosciuto da papa Gregorio XIII con la bolla del 13 novembre 1572. Investito l’ordine di compiti assistenziali, la fondazione del primo nosocomio “maggiore” era avvenuta per merito del duca Emanuele Filiberto (1528-1580), Gran Maestro della milizia, nel 1575, in seguito al dono di una casa con corte e orto nel quartiere di Porta Doranea, isola di Santa Croce, vicino alla Basilica Magistrale dei Santi Maurizio e Lazzaro (via Milano 20). Il grande ospedale sull’antico viale di Stupinigi venne progettato dal dottor Giovanni Spantigati e dall’ingegner Ambrogio Perincioli tra il 1881 e il 1885 e fu il primo nosocomio costruito in Italia a padiglioni: sintesi perfetta delle teorie igieniste dell’epoca.
Nell’Ottocento si riconobbe nella struttura l’impossibilità di procedere a migliorie. Nel 1881 il primo segretario dell’Ordine, Cesare Correnti (1815-1888), si fece promotore presso re Umberto I (1844-1900) della realizzazione di un nuovo ospedale che fosse lontano dal centro cittadino e che rispondesse a criteri di salubrità e di igiene. Individuato il sito lungo il viale di Stupinigi (all’altezza dell’attuale corso Filippo Turati), il progetto scaturì dalla collaborazione del direttore sanitario dell’ospedale, il dottor Giovanni Spantigati, e dell’ingegnere igienista, esperto in progettazione sanitaria, Ambrogio Perincioli (1840-1915). Posta la prima pietra l’11 novembre 1881, l’innovativo ospedale a padiglioni separati, il primo in Italia per tipologia, venne inaugurato alla presenza del re il 7 giugno 1885. Ampliato nel 1911-12, l’ospedale fu risistemato tra il 1926 e il 1930 ad opera dell’ingegnere Giovanni Chevalley (1868-1954).
A partire dal marzo 1944, nel reparto Infettivi del dottor Domenico Coggiola furono ricoverati e pertanto sottratti alla deportazione diversi ebrei, talora per intervento del magistrato Emilio Germano, futuro presidente di sezione in Cassazione. Con false certificazioni vennero trasferite dalle Carceri Nuove all'Ospedale Mauriziano, altre persone provenienti dall'infermeria del carcere, dove operava suor Giuseppina de Muro. L’ospedale Mauriziano fu bombardato numerosissime volte nel corso del secondo conflitto mondiale: cinque volte nel 1942 e altrettante nel 1943.

Il quartiere delle cosiddette Case Popolari di Via Arquata, delimitato dalle vie Pagano e Rapallo e dai corsi Turati e Dante, è di un certo pregio e tutelato dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici per il valore ambientale e documentario. Si è formato negli anni '20 quando furono costruite le numerose palazzine di edilizia popolare che lo compongono e che connotano l'insediamento. L'Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) si era infatti impegnato, in quegli anni, a soddisfare le richieste abitative in particolare delle famiglie operaie, artigiane, impiegatizie (quartiere 10), ma anche dei liberi professionisti e degli impiegati statali (quartiere 11). La disposizione delle palazzine attorno a sei ampi cortili verdi con alberi di alto fusto rivela uno spirito progettuale coerente con la vocazione sociale dell'IACP e particolarmente attento al disegno urbano (verso l'ideazione di una microcittà nella città). Le numerose e varie decorazioni intonacate degli edifici testimoniano un semplificato richiamo a tardive suggestioni Liberty.Nel 1968 la costruzione del moderno palazzo ATC ha modificato l'assetto edilizio in corso Dante angolo via Roccabruna. L'area di via Arquata, pur non lontana dal centro cittadino, ha sofferto per molti anni in modo sempre più accentuato di un evidente isolamento dal contesto urbano (forti barriere fisiche: due rami ferroviari e la rampa di un cavalcavia, rivelando spesso anche i segni di un alto degrado edilizio e sociale, a cui si aggiungono la carenza di servizi ed attività economiche; negli ultimi anni


Il complesso, in cui vivono oggi un migliaio di famiglie, è stato ogget­to di due importanti progetti di riqualificazione edilizia ed energeti­ca, il Contratto di Quartiere e Polycity. Il Contratto di Quartiere ha permesso di realizzare un intervento di manutenzione straordinaria grazie a un finanziamento del Mi­nistero dei Lavori Pubblici, della Regione Piemonte e di Atc. Pa­rallelamente è stato realizzato Polycity, con un investimento della Commissione Europea, della Città di Torino, di Atc, del Politecnico, del Centro Ricerche Fiat e di Iride. L’intervento è stato coordina­to dall’Università di Stoccarda e finanziato dall’Unione Europea, nell’ambito programma Concerto, che ha coinvolto tre diversi quar­tieri in tutta Euroopa: un’area alla periferia di Barcellona, un’area nei dintorni di Stoccolma e le abitazioni di via Arquata. Nell’ambito del progetto sono stati sostituiti oltre 500 infissi, è sono stati instal­lati una centrale di cogenerazione per il teleriscaldamento del quar­tiere e impianti fotovoltaici per la produzione dell’energia elettrica per i servizi comuni.

Una pizzeria in zona, che fa molto ‘crocetta’, ovvero ‘radical chic’ al punto giusto è la Pizzeria Libery in Via Legnano, 8 dove viene servita una buona pizza: buon impasto e buoni ingredienti ma lungi dalla vera pizza napoletana con il cornicione alto; camerieri gentili e solleciti, prezzi un po' più alti della media per un prodotto finale che rimane comunque discreto. 

Per un gelato in zona la scelta è tra la tradizione della Latteria Gelateria Testa in Via Re Umberto, 56 (Orario 6.30 - 20. Chiusa la domenica) che offre tra i suoi gusti una deliziosa crema chantilly, a base di panna e uova, e sembra servire (insieme al gelato o da sola) la migliore panna montata alla frusta della città oppure la più giovane, ma con già con due filiali in città, gelateria Ottimo in C.so Stati Uniti, 6/c che presenta originali e buoni gusti (best: Giandujotto, Ricotta di pecora, miele e zafferano, Caffè viennese e Bunet) preparati in modo artiginiale e genuino.


Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti: 




lunedì 23 settembre 2013

Borgo Campidoglio: l’arte nelle vie, le vie dell’arte


 

Le caratteristiche urbane e sociali di Borgo Campidoglio, compreso dentro il territorio del quartiere San Donato, si comprendono a partire dalla storia della città della fine dell'800, quando Torino vive la prima importante immigrazione, dalla campagna intere famiglie si spostano in quella che sta diventando una città industriale.
Proprio a ridosso della Dora e della Pellerina si trovava la cinta daziaria, una barriera che racchiudeva il centro della città; intorno alla cinta daziaria alcuni terreni vengono lottizzati da un privato, forse proprio il signor Doglio, ed inizia a costituirsi il primo nucleo abitato del Campidoglio. Nel 1911 inizia l'abbattimento della cinta daziaria e lo sviluppo dei grandi corsi che circondano ancor oggi il Borgo Campidoglio: corso Tassoni, corso Altacomba (oggi corso Svizzera), il prolungamento di Via Cibrario, Via Nicola Fabrizi, Via Giacomo Medici. Piccole case appartenenti ad un ceto medio della popolazione, sviluppate su due massimo tre piani, che si affacciano sulle strade di acciottolato e su graziosi giardini interni, diventano il Borgo Campidoglio.


Il piano regolatore del '59 evita l'abbattimento dei piccoli nuclei abitativi e ne preserva il carattere di paese nella città. Soggetto dagli anni '60 ad un graduale abbandono, sia da parte delle amministrazioni pubbliche che dai proprietari originari, il mantenimento di questa peculiarità ha accresciuto, nel corso degli ultimi decenni invece, un rapporto di comunanza tra gli abitanti e una tipologia di insediamento che, pur collocandosi ormai in una zona semicentrale più che periferica, mantiene le caratteristiche di un villaggio nella città, facendo sì che il Borgo rivive oggi di una nuova vita; gli interventi di riqualificazione, realizzati dal Comune di Torino, e gli sforzi delle associazioni di volontariato che operano sull'area, Comitato di Riqualificazione Urbana, Museo d'Arte Urbana, Centro Commerciale Artigianale Naturale, hanno fatto del Borgo Campidoglio una realtà unica nella città di Torino. 


Il MAU- Museo d’Arte Urbana di Torino rappresenta effettivamente il primo progetto in fase di concreta realizzazione, in Italia, avente come scopo il dar vita ad un insediamento artistico permanente all’aperto collocato all’interno di un grande centro metropolitano, con in più il valore aggiunto di essere iniziativa partita non dall’alto ma dalla base, complice il consenso ed il contributo fondamentale degli abitanti.
Nel 1995 matura, nei promotori del Comitato di Riqualificazione Urbana, già dal 1991 impegnati in una rivalutazione delle peculiarità urbanistiche ed architettoniche del Borgo, l’intuizione di allargare la propria sfera di intervento all’arte, coinvolgendo i cittadini nelle scelte. Vengono a tal proposito invitati a fornire il proprio parere alcuni operatori culturali cittadini, tra cui l’estensore della presente, all’epoca membro del Direttivo dei Musei e delle Mostre della Città di Torino, già da anni impegnato sul fronte del rapporto tra arte e territorio.




Il Prof. Edoardo Di Mauro individua nel Borgo Vecchio l’ambito ideale per l’applicazione concreta dei suoi intenti e, coadiuvato in maniera determinante dall’arch. Giovanni Sanna e dall’Accademia Albertina di Belle Arti, nella persona del Prof. Carlo Giuliano, inizia un lungo cammino progettuale, fino agli esiti attuali.


 Dal 1995 ad oggi sono state prodotte 73 opere murarie all’interno del Borgo Vecchio, alle quali si sono affiancate, dal maggio 2001, altre 36 nuove installazioni costituenti la "Galleria Campidoglio" per un totale di 109. 

 Quest’ultima, componente organica del Museo d’Arte Urbana, è sorta per volontà del Centro Commerciale Artigianale Naturale Campidoglio, all’interno delle iniziative del Piano di Qualificazione Urbana, promosso dagli Assessorati al Commercio di Comune e Regione. Si tratta di opere formato cm. 70 X 100, collocate permanentemente sulle pareti tra i negozi di via Nicola Fabrizi e corso Svizzera, protette da teche di plexiglas, che sono state dotate di illuminazione permanente facendone una galleria nella doppia accezione del termine: galleria artistica e galleria commerciale, nel senso che si tratta di negozi che offrono completezza merceologica e servizi propri dei centri commerciali artificiali. Unica in tutta Italia quest'iniziativa offre ai clienti un motivo in più per venire in Campidoglio a fare acquisti: l'arricchimento culturale. 

 Per una pausa gastronomica ci si può immergere nell’atmosfera paesana di borgo Campidoglio con un pranzo veloce oppure una cena più rilassata presso la ruspante e tradizionale Osteria Il Torchio in via Rocciamelone, 7: una piola come non ce ne sono più a metà tra trattoria di paese e bistrot da Butte aux Cailles parigina.

 L’atmosfera è quanta mai fumosa, con tavoloni in legno, luci fioche, tante bottiglie polverose negli scaffali e cartelli pubblicitari in alluminio davvero d’altri tempi; la cucina è buona, basilare e soprattutto economica con un menù a pranzo a 8,50 euro che comprende primo e secondo (a scelta fra vari proposti su una lavagna all’ingresso e da ordinare prima di prendere posto ai tavoli), acqua e caffè. A cena si spende circa il doppio con qualche scelta e attenzione in più alla cucina e ai piatti proposti.









Per ulteriori informazioni e approfondimenti: 


http://www.galleriacampidoglio.it/borgo.htmlNaturale una realtà

venerdì 20 settembre 2013

San Donato e Spina 3: lì, dove c'era l'industria pesante


La Spina 3, che con oltre 1 milione di metri quadrati, occupa la superficie più ampia di tutti gli intereventi delle cossidette Spine ed è uno dei più grandi interventi del Piano Regolatore di Torino, con investimenti complessivi nell'area di circa 800 milioni di euro, insiste sul quartiere di San Donato nell'area delimitata da via Nole, corso Mortara, corso Principe Oddone, via Savigliano, via Caserta, via Ceva, via Livorno, via Treviso e corso Umbria. Gli interventi urbanistici sono di tale portata che i media chiamano sovente questa area Spina 3 non riferendosi più a quartieri che ancora, urbanisticamente, sarebbero di riferimento.


A partire dal 2003 è attivo il cantiere per la realizzazione del Passante Ferroviario in corso Principe Oddone. Contestualmente a questi lavori, dopo anni di abbandono, è stata abbattuta l'intera area industriale delle vecchie fabbriche affacciate sulla Dora (Michelin e Teksid), dismesse alla fine degli anni ottanta. L'area è suddivisa in sette macrozone, create in corrispondenza di altrettanti fabbricati industriali dismessi intorno agli anni ottanta. Rispettivamente, i tre ex impianti siderurgici della ex Fiat Ferriere divenuta poi Teksid (Valdocco, Vitali, Valdellatorre), più gli ex stabilimenti Michelin, Paracchi, Fiat Nole, Ingest, fino alle Officine Savigliano. L'evento dei Torino 2006 ha contribuito alla trasformazione di questa porzione di quartiere dando vita a uno dei più grandi progetti di riqualificazione urbana.


Quasi al confine tra la nuova Spina 3 e il vecchio San Donato si trova in via Fossano, 8 la «cartiera»,  denominazione con cui l’edificio è ancora oggi conosciuto in quartiere, che proviene dagli anni Sessanta, quando lo stabile, in stato di abbandono dopo la chiusura della preesistente fabbrica di lime, è rilevato dalla «Cartiera di San Cesario» di Sesto San Giovanni ed utilizzato come deposito. Nel 1976 vi subentra la «Cartimbal», impresa specializzata nella trasformazione e commercializzazione di articoli cartacei per l’imballaggio. Negli anni Novanta, lo stabile, situato in un’area popolosa e degradata, è acquisito dal Comune di Torino, che con un intervento decennale riqualifica il sito. Il progetto di riqualificazione prende avvio con il “Concorso INU WWF di progettazione partecipata e comunicativa”, la cui prima fase inizia nel maggio del 2000. L’intervento vede dapprima la realizzazione di una scuola per l’infanzia, aperta nell’autunno 2007, di alcuni locali da destinare a centro giovanile e di un’area verde, e successivamente il completamento di una palestra, di una sala danza e di una di psicomotricità, di una arena all’aperto e l’ampliamento dell’area verde. Le attività del centro giovanile vengono avviate il 20 marzo 2010, l’inaugurazione ufficiale del Centro avviene il 29 settembre 2010. Quasi accanto al n° 16 la scuola Eduardo De Filippo ospitata nell’alto edificio a mattoni a vista, sede dell’ex-Tappetificio Paracchi.


Sempre sull'area ex Michelin l'insediamento Terrazze sul Parco Dora (finanziato dalla società Sviluppo Dora - Novacoop e da un gruppo di imprenditori milanesi) comprende nuovi insediamenti residenziali in corso Umbria, per complessivi 350 alloggi, progettati dallo studio di architettura Luzi e caratterizzati dall’ampio uso di mattoni a vista.
Uno dei pochi elementi mantenuti dello stabilimento Michelin è la torre evaporativa, costruita tra la fine degli anni Quaranta e il 1950, come impianto refrigerante per l’acqua utilizzata per il funzionamento di una turbina. L’altezza è di circa 30 metri e la forma è tipica degli impianti di raffreddamento, a cilindro, con le pareti sagomate a parabola proprio per ottimizzarne il rendimento; la struttura è in cemento armato. La caratteristica silhouette della torre evaporativa del complesso industriale, conservata e rifunzionalizzata, è ben visibile da tutta l’area e segna uno dei principali ingressi al Parco Dora.

L'area Vitali, nello spazio dove sorgevano, le ferriere Teksid è racchiusa tra via Orvieto, via Verolengo, via Borgaro e l'attuale corso Mortara (interessato dall'interramento in tunnel). Il recupero, firmato dallo studio di architetti francese Buffi Associés, è stato già in parte realizzato lungo via Orvieto, attraverso la realizzazione di un comprensorio di terziario (il Vitalipark), più un misto di residenziale e terziario che comprende l'ipermercato della catena Bennet, l'Art Hotel Olympic ed una torre di 55 metri. Tutte queste strutture si affacciano su una piazza pedonale interna. L'isolato deve essere completato dalla costruzione di un complesso residenziale a sud di via Verolengo, completato da una torre da 70 metri ad uso terziario ad ovest della stessa, che si affaccierà quindi in largo Borgaro.
L'area Vitali è la più ampia del parco, si estende per 89.000 m², ed è caratterizzata dalla forte presenza delle preesistenze industriali. Prende il nome dall’omonimo stabilimento delle Ferriere Fiat che sorgeva sull'area. Domina l'area l'imponente struttura del capannone dello strippaggio, di cui sono stati conservati gli alti pilastri in acciaio dipinti di rosso ed una parte della copertura. Sotto la grande tettoia trova posto uno spazio multifunzionale attrezzato con campetti da gioco (calcetto, basket, tennis, pallavolo, rampa per skate) e progettato per ospitare manifestazioni e attività sportive; accanto ad essa si sviluppa un vasto giardino, che si articola attorno ai pilastri della smantellata acciaieria alternando aiuole, aree gioco e una passerella sopraelevata in acciaio zincato.

La passerella percorre longitudinalmente l’area e permette il collegamento tra la terrazza del lotto Mortara e il settore Ingest, scavalcando via Borgaro; la passerella è accessibile tramite scale realizzate a ridosso di torri in cemento armato appartenenti all’ex acciaieria, conservate e rese accessibili. Degli stabilimenti industriali sono state conservate inoltre tre vasche di decantazione cilindriche trasformate in giardini acquatici, e l’edificio per il trattamento delle acque caratterizzato dalle quattro torri di evaporazione. Una luminaria a led rosse corre sotto la passerella; una seconda luminaria a led blu corre sotto il tetto del capannone; un terzo sistema di luminarie, verdi, addobba le quattro torri di evaporazione. Questo sistema di illuminazione contribuisce a rendere suggestiva l'area anche nelle ore serali.

Durante gli anni di attività, lo stabilimento Vitali ospitava la più grande delle acciaierie del complesso delle Ferriere Fiat, nella quale erano prodotti i lingotti per i semilavorati destinati alla produzione di lamiere, tubi e molle. L'acciaieria Vitali si componeva di due capannoni affiancati e connessi tra loro, disposti parallelamente all’asse di corso Mortara, ospitanti le differenti fasi di lavorazione: da nord verso sud, si trovavano i settori dei servizi, dei forni, della colata e dello strippaggio. Della parte più grande dell'acciaieria, corrispondente ai primi tre settori, è stata rimossa la copertura, mantenendo le torri in calcestruzzo e gli imponenti pilastri, che segnano la scansione dei diversi comparti di lavorazione; la tettoia conservata corrisponde al più piccolo dei capannoni dell’acciaieria Vitali, quello dello strippaggio. La denominazione del capannone deriva dall'operazione che in esso veniva effettuata: lo "strippaggio", ovvero l'estrazione dei lingotti d'acciaio dallo stampo in cui vengono prodotti, effettuata mediante un pistone comandato idraulicamente per colpire vigorosamente la lingottiera. Il lungo muro in calcestruzzo che ancora oggi corre parallelo al capannone dello strippaggio delimitava a sud il parco rottami dell’acciaieria: qui, sulla rete ferroviaria interna allo stabilimento, che partendo dallo scalo Valdocco attraversava lo stabilimento Valdocco e via Livorno, arrivavano i vagoni carichi di rottami da destinare alla fusione per la produzione dell’acciaio.


Nell'area tra piazza Piero della Francesca, via Valdellatorre e via Nole, è stata costruita la nuova sede della curia di Torino. Il complesso include anche la nuova chiesa del Santo Volto, progettata dall'architetto Mario Botta e costruita tra il 2004 e il 2006; il progetto è è stato dettato  dall'esigenza, come dichiarava il Cardinal Poletto, di "fornire il servizio religioso al nuovo quartiere" e di costruire, in forme monumentali, la prima chiesa del XXI secolo. La chiesa del Santo Volto si compone di sette torri perimetrali alte 35 m, di una sala polivalente sotterranea e di una serie di locali nei quali operano gli uffici della curia torinese per una superficie di 12000 m2. L'interno, molto luminoso grazie ai raggi di luce che penetrano perpendicolarmente dalle alte torri, ha una capacità di 700 posti. Alle spalle dell'altare si staglia il Santo Volto della Sindone, cui è stato aggiunto l'effetto pixel, stilizzato con la tecnica dei mattoncini di terracotta posti in rilievo. Come elemento di continuità tra la preesistente acciaieria e l'attuale chiesa è stata lasciata la vecchia ciminiera: un campanile post-moderno, avvolto da una struttura metallica elicoidale che dà un senso di slancio verso la croce posta sulla sommità. Le campane invece si trovano ai piedi della ciminiera, di fianco alle gradinate che danno accesso al sagrato.


Nell'area Michelin nord, insieme ad altri interventi previsti, è stato realizzato il principale villaggio media per le Olimpiadi costituito da tre torri da circa 70 metri che si affacciano su corso Mortara. Dopo le Olimpiadi  viene modificata la distribuzione interna degli edifici per ricavare 440 appartamenti, di cui 117 vengono acquisiti dalla Città di Torino e destinati a edilizia residenziale pubblica, assegnati mediante criteri volti a garantire un equilibrio nel tessuto sociale. Le restanti unità abitative vengono destinate al mercato libero o all’affitto secondo diverse modalità di canone agevolato.
Il complesso, denominato comunemente Torri Michelin Nord, è compreso nel quadrilatero delimitato da via Orvieto, corso Mortara, via Mondrone e via Tesso. Le tre torri hanno caratteristiche simili, hanno 21 piani di altezza e sono orientate verso corso Mortara, delineando così un insieme architettonico ben definito. Tuttavia, sono state progettate da tre diversi architetti e hanno tre altezze diverse: la torre est è alta 74 metri ed è stata progettata dallo studio AI, insieme alla parte di isolato che si affaccia sul parco; la torre centrale è alta 78 metri ed è stata progettata dallo studio Picco, insieme all'edificio posto in prossimità dell'angolo nord-est dell'isolato; la torre ovest è alta 72 metri ed è stata progettata dall'architetto Giorgio Rosenthal, insieme agli edifici che si affacciano su via Orvieto. Sei edifici più bassi sono inoltre disposti lungo il perimetro del lotto e unificati tramite un basamento comune, che consente anche di superare il dislivello di 5 metri che caratterizza l’area.
 
Di fianco alle Torri Michelin Nord, l’edificio della Società Nazionale Officine di Savigliano è un simbolo dell’industrializzazione metalmeccanica torinese; collocato lungo la strada per le valli di Lanzo, segnò il volto della periferia settentrionale della città. L'edificio oggi ospita la galleria commerciale SNOS e gli uffici torinesi della Seat Pagine Gialle; prima della Snos, l’area aveva accolto la Saia, la Galoppo e la cascina Grangetta. Si tratta di un tipico e significativo esempio di edilizia industriale in cemento armato dei primi decenni del Novecento: su un primo nucleo, sorto intorno al 1889, viene edificato il fabbricato su progetto datato 1917, a firma dell'ing. Enrico Bonicelli e ampliato e rimaneggiato fino agli anni 40 con il risultato di uno stile architettonico molto simile a quello del Lingotto.

Il programma di riqualificazione urbana di Spina 3 prevede poi la realizzazione del Parco Dora (450.000 m²), le cui linee guida sono state definite dall'architetto Andreas Kipar e la progettazione allo studio Peter Latz e associati. Sarà anche in gran parte "stombato" il fiume Dora Riparia che fu interrato all'epoca dell'espansione industriale torinese nel tratto tra via Livorno e corso Principe Oddone e il fiume tornerà quindi a scorrere in superficie lungo tutto il suo corso. 
 A completamento dell'ambizioso e radicale processo di riqualificazione è stata abbattuta anche la famigerata sopraelevata di corso Mortara, consentendo al quartiere San Donato di ricongiungersi ai confinanti quartieri Borgata Vittoria e Madonna di Campagna tramite la realizzazione di un sistema di rotonde, sottopassi stradali e un nuovo, modernissimo ponte sulla Dora. Il nuovo ponte sulfiume Dora Riparia costituisce il "nuovo collegamento viabile" tra le vie Livorno e Orvieto in sostituzione dell’attuale Ponte Amedeo IX il Beato, con separato progetto, recuperato e riqualificato per una destinazione ciclabile – pedonale. Il nuovo ponte sulla Dora in acciaio cor-ten, ancora privo di denominazione, è realizzato tra il 2009 e il 2011 nell’ambito della trasformazione di Spina 3, a integrazione del mutato assetto infrastrutturale dell’area, insufficiente ormai per smaltire il traffico indotto dai nuovi insediamenti e dal mutato assetto viabilistico dell’area. Il nuovo ponte affianca a ovest quello preesistente e ha una larghezza di circa 32 metri e ospita due carreggiate, ciascuna a due corsie, separate da banchine verdi e da una fascia centrale riservata al trasporto pubblico.
Il ponte è composto da una campata unica, di circa 43 metri di luce, e ha una struttura di travi di acciaio, rinforzata da stralli in acciaio ancorati a due elementi a forma di V posizionati sulle banchine centrali della carreggiata. Le parti metalliche che costituiscono la trama strutturale della soletta del ponte e le ringhiere laterali sono caratterizzate dalla colorazione bruna naturale dell’acciaio cor-ten, richiamo formale alle grandi strutture legate alle produzioni siderurgiche che hanno caratterizzato il recente passato dell’area.
Il progetto è curato dalla Città di Torino con la consulenza dello Studio De Ferrari Architetti e dell’ing. Diego Menardi; il ponte è stato inaugurato il 21 luglio 2011.

Molte delle trasformazioni nell'area di Spina 3 sono già state realizzate: in primo luogo l'Environment Park, uno dei due parchi tecnologici torinesi nati da operazioni di trasformazione urbana. Esso sorge sulle aree ex Teksid (circa 25.000 m²) ed è stato realizzato tra il 1997 ed il 2000 su progetto di Emilio Ambasz, Benedetto Camerana e Giovanni Durbiano, attraverso finanziamenti dell'Unione europea e rappresenta un’esperienza originale nel panorama dei Parchi Scientifici e Tecnologici in Europa per aver saputo coniugare innovazione tecnologica ed ecoefficienza.
Environment Park è articolato in due Business Unit, rispettivamente dedicate alla gestione immobiliare del complesso e all’attività di ricerca e innovazione: quest’ultima, in particolare, si è storicamente sviluppata intorno al concetto di eco-efficienza, con un approccio tipicamente trasversale alla tematica ambientale selezionando quattro ambiti operativi: bioedilizia, progetti ambientali, energia e plasma.
Il progetto architettonico ha fatto riferimento ai principi basic della green architecture, come la riduzione generale dei consumi energetici e dell’impatto ambientale, il ricorso a fonti di energia rinnovabile, l’adozione di tecniche naturali di gestione dei fabbricati e la scelta di materiali non inquinanti o riciclabili. In particolare il tetto verde , ovvero ricoperto da erba e arbusti, consente di ridurre il costo di realizzazione degli impianti e quello di gestione del complesso – per via del buon isolamento estivo e invernale – e soprattutto il consumo globale di energia, migliorando il microclima, il filtraggio delle polveri inquinanti dell’aria e dell’acqua piovana e l’abbattimento dell’inquinamento acustico urbano.


All'interno dell'Environment Park, con ingresso da corso Umbria 84, è visitabile a partire dal 2004 il MuseoA come Ambiente  2004, un parco scientifico tecnologico che ospita gli uffici di numerose piccole aziende impegnate nei settori dell'high-tech e dell'ambiente, sistemati in edifici che rispettano i criteri della bioarchitettura.
Il museo "A come Ambiente" è un museo interattivo e multimediale che si rivolge in particolare alle scuole e alle famiglie, ma che riesce a coinvolgere il pubblico di ogni età. Dedicato all'educazione ambientale il museo si divide in tre sezioni, ciascuna dedicata a uno specifico tema: l'energia/i trasporti, i rifiuti e l'acqua. Un "guscio", struttura esterna all'edificio principale, ospita le mostre temporanee. La visita a ogni sezione, guidata dagli animatori, consiste in proiezioni video, giochi, laboratori, allestimenti e soprattutto exhibit, ovvero "macchine" concepite per permettere al pubblico di interagire e sperimentare.

Sempre nel comprensorio Valdocco, a sud dell’Enviroment Park, è stato realizzato il progetto residenziale “Le Isole del Parco” degli Architetti Isola Associati: 8 isolati prevalentemente residenziali, impostati su di una piastra sopraelevata di 6 m sul livello stradale e al suo interno, per l’affaccio su via Livorno, contiene volumi per autorimesse e attività commerciali .
I diversi edifici hanno altezza variabile, da un minimo di 6 ad un massimo di 22 piani per La Torre situata a nord, che rappresenta uno degli edifici più alti della città (70 m).;
Il tema principale del progetto è il disegno degli assi viari che lo attraversano ed in particolare dalla conformazione del grande viale che si collega al Parco mediante un percorso verde, fino alle sponde della Dora, estendendosi per tutta la lunghezza del complesso da nord a sud. E’ inoltre caratterizzato da ponti pedonali grazie ai quali è possibile l’attraversamento dei due percorsi veicolari in senso est – ovest. Un terzo passaggio sopraelevato continua la “rambla” attraversando il corso sottostante.  Gli edifici residenziali hanno accesso da rampe poste sugli spigoli dei lotti attraverso un grande arco coperto da un tetto.  Le superfici interne delle corti, sistemate con parti a verde ad uso condominiale o privato, intendono porsi per gli abitanti del quartiere come aree di aggregazione, il cui carattere di raccoglimento è sottolineato dalla disposizione dei balconi di grandi dimensioni che vi si affacciano, quasi tangenti fra loro.
La scelta dei materiali di facciata e del loro colore, abbinati ai colori delle ringhiere e dei pilastrini dei balconi con toni variabili tra il verde e il blu , conferisce agli isolati una differenziazione cromatica ed un’identità urbana propria.

Poco distante dal complesso residenziale “Le Isole del Parco”, è stato inaugurato nel 2003 il Centro Commerciale Dora (comprensivo della multisala cinematografica The Space, ipermercato Ipercoop, una galleria commerciale e parcheggio multipiano).
Al cuore del progetto la grande piazza su due livelli, aperta e circostritta dal centro commerciale, ristoranti, negozi, una multisala e un’articolazione di edifici destinati a commercio e terziario. Un intenso sistema di collegamenti verticali, ponti, balconate e percorsi pedonali verdi che permette di percorrere lo spazio a vari livelli e lungo diversi assi, mettendo in comunicazione la piazza con il parco della Dora e la città. Il progetto inverte la tipologia prevalente dei centri commerciali, chiusa e artificiale, introducendo un nuovo grado di libertà e criticità nel rapporto con lo spazio commerciale e della città. L’area è un “organismo” di edifici diversi, in cui ogni volume ha una funzione, ma con rimandi reciproci nel disegno puro dei volumi e nei materiali.

Per il percorso completo e ulteriori approfondimenti: 


mercoledì 18 settembre 2013

San Donato: la culla 'liberty' dell'industria torinese


San Donato, (in piemontese San Donà), è un quartiere della IV Circoscrizione di Torino, delimitato a nord dalla Dora Riparia, ad est da corso Principe Oddone, ad ovest da corso Svizzera ed a sud da corso Francia. Il nome del quartiere lo si deve ad una chiesa intitolata a San Donato (e situata nell'attuale omonima via San Donato), andata perduta nel corso dell'assedio da parte delle truppe francesi del 1706.
 



Abitato sin dall'epoca medioevale, l'area era popolata da famiglie di soldati e vi era presente un mercato. La popolazione ebbe una drastica diminuzione durante la peste del 1630 e per le numerose guerre ma successivamente ricominciò a prosperare. Il quartiere era attraversato dal Canale di Torino, una derivazione della Dora Riparia che esisteva già nel XII secolo e che seguiva il tracciato delle attuali vie San Donato (e del viale sopraelevato della Leja) e Pacinotti. All'altezza di via Capellina, il partitore del Brusachœur derivava dal Canale di Torino e il Canale del Valentino, che volgeva verso sud.
A partire dall'antico abitato nell'Ottocento si sviluppò una borgata urbana, così descritta da Goffredo Casalis:
« Il nucleo delle case fiancheggianti la strada che accenna al Martinetto, forma questo borgo, che da pochi anni sorse quasi per incantesimo, e va di giorno in giorno aumentando così di popolazione, che fra non molto potrà per la sua importanza pareggiare gli altri sobborghi della capitale. »
(Goffredo Casalis)



Si trattava all'epoca di un quartiere popolare, abitato da immigrati di recente urbanizzazione, provenienti per lo più dalle campagne. La povertà, se da una parte valse al quartiere il nome di "borgo dei dannati", attirò qui numerose iniziative caritative, come il Pubblico scaldatojo comunale, l'Istituto del Buon Pastore, l'Istituto della Sacra Famiglia che accoglieva circa duecento orfane, la Casa di Sanità del dottor Casimiro Sperino e l'Oratorio Femminile del teologo Gaspare Saccarelli. A tal proposito il 30 gennaio 1855 il teologo Saccarelli otteneva dall'arcivescovo Fransoni che la sua chiesa locale venisse costituita parrocchia. L'arcivescovo volle che al titolo di San Donato venisse aggiunto quello dell'Immacolata Concezione che l'8 dicembre 1854 papa Pio IX aveva proclamato come dogma. La chiesa, sita in via San Donato 21, è stata la prima al mondo ad essere dedicata all'Immacolata dopo il dogma essendo stata dedicata neanche due mesi dopo la proclamazione.
 


Sempre in ambito religioso nel cuore del borgo, in via San Donato 31, si trova l'Istituto Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, comprendente anche la chiesa di SantaZita con il campanile più alto della città, progettato dal beato Francesco Faàdi Bruno, personaggio poliedrico nella Torino risorgimentale. Il campanile, con i suoi 83 metri, è la terza sommità più alta della città di Torino, dopo la Mole Antonelliana e la Torre Littoria. La progettazione della chiesa fu inizialmente assegnata all'architetto Edoardo Arborio Mella da Francesco Faà di Bruno che, successivamente, decise di occuparsi poi personalmente della realizzazione della chiesa e del campanile nel suo complesso.
L'altezza significativa dell'edificio è dovuta ad un motivo curioso e prettamente sociale. Il Faà di Bruno voleva evitare che le lavoratrici e i lavoratori della città venissero ingannati sull'orario di lavoro. Calcolò così che un orologio di due metri di diametro collocato sulle quattro facce del campanile a circa 70 metri di altezza, sarebbe stato visibile in gran parte della città e liberamente consultabile da tutti. La particolarità dell'edificio è la sua altezza e l'ampiezza della propria base: appena cinque metri. Inoltre la struttura sposa tecniche miste di costruzione: la prima parte è in muratura mentre la sommità è realizzata in ghisa per favorire il propagarsi del suono delle campane e agevolare l'elasticità strutturale. Quest'ultima caratteristica è stata messa alla prova dal rovinoso uragano che colpì la città il 23 maggio 1953, dal quale, però, il campanile uscì assolutamente indenne. La guglia è sormontata da un angelo dell'Apocalisse intento a suonare una tromba, che, nell’idea del Faà di Bruno, avrebbe dovuto suonasre percorsa dal vento. Nel corso del 2010 il campanile è stato oggetto di un accurato restauro, al fine di rendere possibile la sua apertura al pubblico.



Gli edifici del quartiere sono relativamente recenti (intorno al 1820), eccetto il più antico nucleo di piccole case situato nell'area del Brusachœr, ovvero il palazzo Forneris che si trova lungo l'antica strada che conduceva ai mulini del Martinetto, in parte soppressa con la rettifica urbanistica del borgo e la nascita di via San Donato. Dell'antica strada oggi non rimane che un breve tratto di via Pacinotti. Il palazzo è tuttora esistente, seppur rimaneggiato da Barnaba Panizza nel 1859, lungo il ramo destro del canale Ceronda, ora via Pacinotti e Piazza Paravia, (civico 32 di via San Donato). La sua conservazione ha determinato la modifica del tracciato rettilineo di via San Donato che, in prossimità di esso, accenna una lieve curva.

 

Il piccolo edificio situato nelle vicinanze della chiesa di santa Zita, è ciò che rimane di Casa Tartaglino, piccolo edificio residenziale, ampliato e modificato poi dal Faà di Bruno.
Il Villino Cibrario, progettato da Barnaba Panizza nel 1842 è ancora visibile al civico 15 di via Saccarelli, angolo via San Donato. L'edificio era dotato di un ampio giardino, soppresso per la sistemazione di via Saccarelli. Si trovano ulteriori esempi di dimore alto borghesi come Villa Boringhieri nell'ultimo tratto di via San Donato, mentre in via Piffetti e in via Durandi si possono notare altri esempi interessanti di Liberty e neogotico.



A breve distanza, nell’isolato compreso tra le vie Saccarelli, Miglietti e Pinelli, troviamo i bagni pubblici e lavatoi di Borgo San Donato: un insieme di fabbricati, edificati a partire dall’inizio del XIX secolo allo scopo di soddisfare le esigenze del popoloso quartiere; dal 1979 una parte della costruzione, opportunamente ristrutturata, è utilizzata come sede degli uffici del Quartiere 6, San Donato. Dagli anni ‘80 il complesso è sede del Consiglio circoscrizionale della Circoscrizione IV, con uffici, salone polivalente, centro d’incontro e anche del Punto prestito Gabriele D’Annunzio, sede di pubblica lettura delle Biblioteche civiche torinesi. La destinazione a sede territoriale del Sistema bibliotecario torinese costituisce una prima risposta da parte della Città all’esigenza manifestata dai cittadini di una sede di pubblica lettura, in attesa della biblioteca vera e propria.



San Donatofu uno dei quartieri in cui, nel XIX secolo, si svilupparono maggiormente alcune grandi industrie, come la Caffarel e la Prochet che nel 1865 inventò il celebre giandujotto, nato proprio nel primo stabilimento di via Balbis. Sempre in ambito dolciario il borgo ospitò per decenni lo stabilimento della Pastiglie Leone, produttrice delle famose caramelle di zucchero e il panettonificio La Torinese. Di diverso settore merceologico: il Cuoificio Laurenti, al fondo di via San Donato, e, tra via San Donato e via Durandi, la Conceria Fiorio di pelli di capre e montone fondata nel 1837 che lega il proprio nome a quello dell’antifascismo torinese, diventando importante luogo dell’attività clandestina e stamperia de «La riscossa italiana», organo clandestino del CLN torinese; attualmente parte dell’edificio ospita la Fondazione Piazza dei Mestieri e il birrificio artigianale La Piazza.
In tema di birre, aveva sede in zona il Birrificio Metzger, che inizia l’attività nel 1862 e la conclude nel 1975. Nel 1848 Carlo Metzger fonda con altri soci la Società Perla Crova & Co., fabbrica di birra con sede in strada del Fortino. Nel 1862, divenutone unico proprietario, sposta le lavorazioni in via San Donato. Nasce la Birra Metzger Torino i cui prodotti, “una bionda uso pilsen e una bruna”, ottengono il diploma al Gran Premio della birra nel 1871 e la medaglia d’oro all’Esposizione dell’Industria Italiana di Torino nel 1898.
Nel 1903 si trasforma in Società in Accomandita Semplice Birra Metzger - Torino di Carlo Dorna & C. Lo stabilimento, che si estende su una superficie di 6.800 metri quadrati, è al centro di un ampliamento affidato all’architetto Pietro Fenoglio che, saldando “l’art nouveau con la tradizione ottocentesca”, dona al complesso un aspetto efficiente e armonioso. Il passaggio, nel 1970, al gruppo Dreher, segna la scomparsa definitiva del marchio Metzger, cui segue, nel 1975 la chiusura dello stabilimento di Torino. Attualmente l’edificio ospita un supermercato, una chiesa evangelica e una scuola di ballo.




Particolarmente interessante è la sede storica dell'azienda Pastiglie Leone, che vi si trasferisce nel basso San Donato nel 1937, quando la S.I.F.C.A. vende una parte del lotto su cui sorge il complesso a Celso e Giselda Balla, i quali avevano rilevato nel 1934 la ditta Pastiglie Leone, per rimanervi fino al 2006. La palazzina e lo stabilimento, se pur adattati alla produzione di pastiglie e caramelle, conservano i caratteri dello stile Liberty di inizio Novecento. Il protezionismo imposto dal regime fascista causava gravi aumenti dei prezzi sui prodotti d'importazione e una delle maggiori difficoltà che deve affrontare la Leone è proprio il reperimento di alcuni ingredienti indispensabili. La Leone si trova così a dover sperimentare nuovi prodotti autarchici negli ingredienti. Il momento di crisi è legato anche agli importanti investimenti attuati nel 1937 per il trasferimento dell'attività nella sede di corso Regina Margherita. Grazie al forte carattere dimostrato da Giselda Balla, soprannominata dai dipendenti la “Leonessa”, la ditta riesce a superare egregiamente la crisi, insistendo con la pubblicità, lanciando nuove confezioni e inventando le vendite a concorso premiando i clienti più fedeli.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa dei bombardamenti alleati, lo stabilimento subisce gravi danni e nel 1945 i Balla incaricano l'ingegnere Eugenio Mollino del nuovo progetto di ricostruzione dello stabile, oltre alla realizzazione di un nuovo ampliamento per l'autorimessa. Nella fascia centrale dell'attico che si affaccia su corso Regina Margherita viene collocata, in carattere corsivo, la scritta “Leone”, che ancora oggi è visibile. Il complesso di corso Regina Margherita rimane oggi pressoché invariato rispetto alla situazione presentata al comune nel 1986. Nel 2006 la Leone si trasferisce nel nuovo stabilimento di Collegno, risultando inadeguata la sede storica, tuttavia per tutelare il valore storico del complesso di corso Regina il Comune ha approvato una variante al P. R. G.: la palazzina diventerà sede di rappresentanza della Leone, il capannone industriale verrà trasformato in due piani di loft, il resto della superficie convertito ad edilizia residenziale 




Il percorso in San Donato si conclude davanti all'altro importante centro religioso del quartiere: la Chiesa di Sant'Alfonso, edificio religioso del tardo eclettismo progettato dall'ing. Gallo nel 1893 a cui da qualche anno fa compagnia un enorme murales, realizzato sul retro grigio di un palazzo, con un ragazzo e un sole raggiante che ci introduce nell'artistico e suggestivo Borgo Campidoglio.

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