venerdì 19 luglio 2013

Parella: città o campagna?


Parella è un quartiere della Circoscrizione IV di Torino, che fa parte della periferia ovest della città, delimitato a sud dal corso Francia, ad est da Corso Lecce, a nord da Corso Regina Margherita e ad ovest da Corso Marche e dal Comune di Collegno. Confina con i quartieri di Pozzo Strada, Lucento, Vallette e San Donato.



Prende il nome dalla cascina Parella, un'antica cascina a corte che si trovava nella zona, della quale restano solo pochi resti. Storicamente il quartiere aveva una connotazione prettamente agricola con cascine sparse. Oggi è densamente abitato ed è prevalentemente a carattere residenziale, anche se non mancano fabbriche ed attività produttive importanti; il quartiere per secoli ha ospitato numerose cascine sorte dalla trasformazione di precedenti strutture agricole medievali. Sulla strada Antica di Collegno si scorgeva a destra, fra le attuali vie Carrera, Capelli e Passo del Brennero, il Borello, cascina con palazzina che il Comune ha poi restaurato e adibito a uffici decentrati.
L’origine agricola del quartiere è oggi ripresa negli orti urbani, come le Officine Verdi Tonolli (ingressi da via Valgioie 45 e da via Exilles 3): un’area verde, dove sorgeva un tempo …, di circa 8mila m2, aperta al pubblico dal 2002 per la libera fruizione da parte dei cittadini; non solo un giardino, ma anche piantagioni floreali, serre, orti e un frutteto (mele, pesche, albicocche, pere…), curati nel corso delle attività botaniche condotte dalle associazioni naturalistiche che gestiscono l’area. L’Area Verde è aperta al pubblico: giovedì e sabato 15-17.30 (da novembre a febbraio); martedì, giovedì e sabato 15-19.30 (da marzo a ottobre)



Attraverso l'antica strada di Collegno, si incontravano la villa settecentesca e la cascina del Gibellino, ancora oggi racchiusa fra le ville alla destra di via Michele Lessona e il Parella (via Servais 13, tuttora in parte esistente), che ha dato il nome alla borgata. Dove c'è ora piazza Campanella sorgeva il Maniscart, grossa costruzione con laboratori artigianali (falegnami, carradori, maniscalchi). Lionetto era il nome dei proprietari di un’antica cascina divenuta poi borgata, fra le vie Asinari di Bernezzo, corso Telesio e via Carrera. Dopo la ripida discesa verso la Dora si giungeva all'osteria della Porta Rossa, tappa obbligatoria per uomini e cavalli. Di qui, voltando a sinistra per la strada della Pellerina, si toccavano i Tetti della Bassa, e, verso il confine con Collegno, le cascine Mineur e Cascinotto, oggi ancora attive.

Il toponimo Parella, a unificare tutta questa vasta area, comparve negli atti del Comune solo nel 1930: conserva la memoria di un antico casato nobiliare, quello dei Marchesi San Martino di Parella, che furono i primi proprietari dell'omonima cascina. Le prime vie che sorsero nel 1906 sono via Salbertrand, via Exilles e via Gravere. Tutte le altre risalgono al periodo compreso tra il 1909 e il 1922. Nel 1921 nel territorio compreso fra il corso Altacomba (ora corso Svizzera), il corso Francia, il confine con Collegno e la Dora, vi erano poco più di 900 abitanti. Durante gli anni venti il quartiere ospitò numerose attività produttive, in prevalenza nel settore meccanico, che contribuirono a stravolgere la cultura contadina della zona e a distruggere la maggior parte delle antiche residenze rurali. Una specifica norma vietò di edificare lungo le vie Lessona e Servais per tutelare il terrazzo morenico che sovrasta la zona dell'alveo della Dora e il Parco della Pellerina.


All’inizio del percorso, nei pressi di Piazza Rivoli, vero crocevia del quartiere, ora interessato anche da un sottopasso e dal passaggio della Metropolitana, si trova la Caserma dell’esercito Carlo Amione, che si trova nella sede della ex SCAT (Società Ceirano Automobili Torino), azienda nata nel 1906 in via Madama Cristina per volontà del cav. Giovanni Ceirano e trasferitasi in corso Francia 142 (ora piazza Rivoli 4) otto anni dopo risultando insufficienti i locali; fra il 1921 e il 1939, l’unione dei vari edifici industriali definì l’immobile del Genio Militare e recentemente le Forze Armate vi hanno stabilito la direzione dell’UTT (Ufficio Tecnico Territoriale) e il Centro Approvvigionamenti; a poca distanza sui in c.so Francia, 164-170 si trova l’imponente casa generalizia dell’Istituto delle Suore del S.Natale: congregazione fondata da don Francesco Bono, vicario parrocchiale di Pozzo Strada, insieme con Giuseppina Cavagnero nel 1890 e trasferitasi qui nel 1892 con successivi ampliamenti del complesso ad opera  dagli architetti Enrico Mottura (1896) e Mario Cerruti (1920); l’istituto si dedicò nel tempo all’assistenza di ragazze, minori, anziani che attualmente vi risiedono.


Poco dopo la Villa La Tesoriera, così nota come abbreviazione di Villa Sartirana detta La Tesoriera, una villa settecentesca torinese il cui ingresso principale è in Corso Francia ed è circondata da un vasto parco aperto al pubblico (utilizzato tra l’altro nel giugno scorso per l’evento Cena in Bianco con 8.000 partecipanti).
La villa si denomina La Tesoriera essendo stata costruita per il potente consigliere di Stato e tesoriere generale dello Stato sabaudo, Aymo Ferrero di Cocconato che aveva acquistato nel 1713 i terreni sui quali sorge la costruzione. L'architetto cui venne affidato l'incarico dell'edificazione fu Jacopo Maggi, che s'ispirò allo stile di Guarino Guarini. Il Ferrero, già possessore di modesti diritti di giurisdizionali (ad esempio nel feudo di Cavoretto) aveva acquistato parte del feudo di Cocconato dai fratelli Carlo e Francesco Boetti nel 1697. L'inaugurazione della villa avvenne nel 1715 alla presenza di Vittorio Amedeo II e della corte. Aymo Ferrero morì nel 1718 e complesse vicissitudini finanziarie coinvolsero la seconda moglie ed erede universale, Clara Teresa Gay che fu costretta a vendere la villa, acquistata dal marchese Ghiron Roberto Asinari di San Marzano, il quale la cedette dopo non molti anni all'avvocato Bonaudi. La parabola ascensionale dei Ferrero di Cocconato (che erano ramo di una tra le più antiche e influenti famiglie dei Carignano) volgeva al termine e la villa stessa visse momenti di parziale decadenza. Così Amedeo Grossi descriveva la villa diversi anni dopo la sua costruzione, nel 1790: «La Tesorera villa, e cascina del signor Avvocato Casimiro Donaudi [è] situata lungo, ed alla destra dello stradone di Rivoli distante un miglio da Torino. Avanti il palazzo èvvi un filare d'olmi a tre ordini con un grande rastello di ferro, che la chiude verso lo stradone; quindi altri tre rastelli frammezzati da tre ben architettati pilastri, che separa il filare dal cortile; il suddetto palazzo è il più bello, che vi sia lungo lo stradone di Rivoli tutto in architettura, con un bel salone, e magnifici appartamenti». Al piano terreno vi erano stanze con volte decorate il cui accesso avveniva attraverso un ingresso a galleria che collegava i due fronti. Il primo piano era occupato dal grande salone d’onore dedicato a Vittorio Amedeo II con quattro sale di contorno. I due piani erano collegati da una doppia scala simmetrica che verrà in seguito demolita e sostituita da uno scalone laterale. Intorno, il paesaggio era costituito da campi, prati, dal braccio della bealera Porta, dalle vicine cascine Rolando, il Marino, Sant'Antonio. Nel corso dell'occupazione francese del Piemonte (1797-1814) la villa conobbe un periodo di decadenza e la cascina fu adibita a caserma dagli occupanti francesi. Nel 1806 venne acquista da un avvocato, certo Leovigildo Massa, che tuttavia la rivendette nel 1812 ad altro privato.


Nel 1825 venne acquistata dall'agente di cambio Agostino Fontana. Nel 1840 il catasto Rabbini non rilevò variazioni planimetriche. Alcuni anni più tardi, nel 1869, l'edificio e la tenuta vennero acquistati dal marchese Ferdinando Arborio Gattinara di Sartirana e Breme, senatore del Regno e famoso entomologo, che apportò numerose modifiche sia alla villa sia al parco: fu costruita la manica est con un nuovo scalone d’accesso al piano superiore e i due piani furono occupati da un museo di ornitologia. La cappella originaria venne adibita ad altri usi e ne fu edificata una nuova nei pressi del rustico, mentre i giardini furono trasformati con disegno di gusto pittorico. Nel 1934 l’edificio fu acquistato da S.A.R. Amedeo di Savoia duca d'Aosta, il quale provvide all'erezione dell'ala ovest su progetto dell'architetto Giovanni Ricci: due piani fuori terra e camere di piccole dimensioni con una scala di collegamento.
Nel 1962 la Villa venne venduta alla Compagnia di Gesù, che l'adibì a sede del suo Istituto sociale, sistema di scuole parificate elementari, medie inferiori, licei classico e scientifico in Torino. Acquistata dal Comune di Torino nel 1971, rimase a disposizione dei gesuiti fino al 1975, quando fu definitivamente lasciata al Comune. Attualmente l'edificio è adibito a biblioteca musicale intitolata al musicologo e critico musicale Andrea Della Corte, del quale conserva la biblioteca e l'archivio personale. Studiosi, studenti e appassionati di musica, in particolare di musica classica, trovano in questa biblioteca ricche collezioni di libretti d'opera, di saggistica musicale, dischi e CD e una interessante sezione di manoscritti e documenti iconografici. La Biblioteca accoglie inoltre un'ampia documentazione sulla danza e le arti coreutiche, grazie anche alle raccolte già facenti parte del Centro per la danza (documentazione e ricerca) e successivamente integrate nelle sue collezioni.


Il simbolo del quartiere, quasi a metà tra il Parco della Pellerina e la sua parte più residenziale, è la torre serbatoio  per l’acquedotto all’angolo tra Corso Telesio e Corso Appio Claudio, più conosciuto come il “fungo”: costruito negli anni Sessanta è divenuto il simbolo del quartiere e del suo skyline ed è stato spesso usato come marchio distintivo per giornali e manifestazioni cittadine.




Nel 1933 fu edificata in corso Lecce all'angolo con via Lessona il Villino Arduino, una palazzina, tra gli ultimi esempi di gusto neoeclettico a fronte delle incalzanti istanze razionaliste, progettata nel 1928 per l’imprenditore edile Giuseppe Arduino dall’architetto Paolo Napione, autore nel medesimo anno del Teatro Alfa. La palazzina venne edificata nel 1928 su progetto dell’architetto Paolo Napione, docente in costruzioni presso la Regia Scuola Tecnica Lagrange, autore nello stesso anno del Teatro Alfa e, quello successivo, della chiesa della Divina Provvidenza. Committente della villa, che da lui prese il nome, è il cavaliere Giuseppe Arduino, titolare di un’importante impresa edile nonché proprietario di diversi edifici nella zona, tra i quali la casa a cinque piani di gusto razionalista che farà costruire nel 1934 sul lato opposto della strada, in corso Lecce 57.


La palazzina è a due piani con struttura mista di muratura e cemento armato, con parziali sopraelevazioni a forma di torri formanti il terzo e quarto piano; la villa, che nel progetto originario presentava facciate più movimentate, sfrutta la posizione angolare per farne il suo imponente ingresso, composto da due elementi principali. Il primo è un volume che avanza fino a filo strada inglobando il portone di ingresso principale e l’atrio, con un terrazzo al primo piano; il secondo si svincola dal primo e si eleva a formare una torretta fortemente caratterizzata. Attorno a questo corpo angolare si articolano le due braccia laterali dell’edificio, le cui facciate sono percorse da un apparato decorativo ricco di affreschi e disegni fitomorfi e zoomorfi, realizzati in litocemento.
Il progetto prevede a sinistra dell’ingresso l’appartamento del custode e, a destra, gli uffici del cavaliere Arduino con i locali per i disegnatori, il segretario, l’amministrazione, mentre il piano superiore è destinato ad abitazione della famiglia. La villa fu in passato attribuita all’architetto Gino Coppedé (1866-1927), anche se il punto di riferimento principale è l’opera dell’architetto e restauratore Vittorio Mesturino, in particolare la palazzina in via Montevecchio 49 (1925).


Vero polmone verde del quartiere ma anche di tutta l’area ovest di Torino è il Parco della Pellerina, il cui nome ufficiale è Parco Carrara che è il più grande parco cittadino della città di Torino, con un'estensione di 837.220 m² (83,7 ettari), ma risulta essere anche il parco urbano più grande d’Italia. È compreso tra corso Regina Margherita a nord, corso Appio Claudio a sud, via Pietro Cossa a ovest e corso Lecce a est ed è attraversato dal corso della Dora Riparia.
Viene chiamato Parco della Pellerina da un'antica cascina, inglobata all'interno del parco, che recava il nome di cascina della Pellerina. Una possibile, ma interessante interpretazione del nome deriva dall'accostamento della dizione pellerina abitualmente utilizzato per denominare gli edifici o i locali dove venivano giudicati ed esposti i debitori insolventi con la pietra della berlina o pera berlina dove venivano messi appunto alla berlina gli stessi. Esiste un'altra possibile interpretazione, la cascina è situata lungo la strada che da Mont Saint Michel passa per la Sacra di San Michele in Val di Susa e termina al Santuario di San Michele Arcangelo, a Monte Sant'Angelo, conosciuta anche con il nome di "via di San Michele", era un percorso frequentato da molti pellegrini e sembra che in questa località trovassero rifugio per la notte. Di qui il nome del luogo, in seguito nacque la Cascina e "la Pellerina" sarebbe una contrazione del nome "la Pellegrina".
Il parco è ufficialmente dedicato a Mario Carrara (1866-1937), antropologo dell'università di Torino, uno dei soli 15 docenti universitari su oltre 1.200 che rifiutarono il Giuramento di fedeltà al fascismo, ma è noto a tutti i torinesi come Parco della Pellerina. Dal 2009 tutta la porzione del parco a nord della Dora è stata dedicata alla memoria dei 7 operai torinesi deceduti nel rogo della linea 5 dello stabilimento ThyssenKrupp il 6 dicembre 2007: l'area dello stabilimento si trovava infatti in corso Regina Margherita 400, proprio di fronte all'ingresso nord della Pellerina.
La prima idea del parco venne agli inizi del '900, ma soltanto negli anni 1930 incominciarono i lavori. La costruzione del parco continuò dopo il conflitto mondiale e ottenne la sistemazione attuale negli anni 1980 e anche il corso del fiume Dora Riparia all'interno del parco fu ampiamente modificato, rendendolo molto più lineare.  Il parco è dominato dalla presenza di alberi ad alto fusto alternati ad ampi prati e radure ed è utilizzato come luogo di passeggiate e di allenamenti podistici; non a caso tra la Dora e il Lago Grande, nella porzione nord, sorge la seicentesca cascina la Marchesa, che è la sede organizzativa della annuale maratona di Torino (Turin Marathon).


All’interno del parco vi sono alcune strutture sportive, tra le quali una piscina, campi da calcio (sia di proprietà di società sportive e non), una pista di pattinaggio liberamente fruibile, una pista da BMX in terra battuta, campi da bocce e da tennis e due laghi artificiali, di differenti dimensioni, che ospitano una fauna acquatica rappresentata da numerose famiglie di germani reali, folaghe, gallinelle d'acqua e cigni. In una depressione in prossimità dei due laghi si è recentemente (alluvione dell'ottobre 2000) formato uno stagno completamente naturale, l'unico del genere nella città di Torino. Si tratta di una zona umida di modesta profondità (max 80 cm), circondata da una corona di canne di palude.
Nella zona centrale si trova inoltre la cossidetta ‘vasca’, un ampio spazio in pietra ne che fino a qualche anno conteneva acqua della Dora per il divertimento dei bambini e che oggi riesce a ospitare migliaia di persone manifestazioni e concerti (come il Traffic Festival). Nella zona est invece, al confine con corso Lecce, sorge un piazzale sterrato che frequentemente accoglie il luna park, il circo e altre manifestazioni fieristiche.


A breve distanza dal Parco della Pellerina seguendo il percorso della Dora verso ovest, resistono ancora oggi varie cascine, alcune già presenti nelle carte di fine ‘500: si tratta di edifici rurali di pianura (grange) a pianta rettangolare a due livelli e ampia corte centrale; al piano terreno stalla e cucina, camere e fienili al secondo e in molte sono ancora diffuse le coltivazioni orticole.


La prima che si incontra è la Cascina Pellerina (via Pietro Cossa 263): circondata da vasti campi coltivati a mais, è l’unica a tre piani. Il sito, attestato già dal 1500 come Valle Pellerina o Pellarina (vi era anche un guado), dà il nome all’intera zona e al parco.
La maggior concentrazione di cascine è invece sulla Strada della Pellerina: Cascina Basse di Dora (strada della Pellerina 72), denominata a fine ‘500 “Cassina o Tetto de Lioneti”, solo dopo il 1762 appare il toponimo “Tetti Basse di Dora”, è caratterizzata dall’abbaino con orologio e dall’orto protetto da muro di cinta. A bordo strada vi è il pilone votivo con tettuccio ogivale dedicato alla Madonna, Regina della Pace;




Cascina Frus Cascinotto (strada della Pellerina 77), tra le più attive per l’allevamento bovino e di animali da cortile, è caratterizzata dalla testa bovina con corna appesa all’ingresso principale e dalla strada si può gettare un occhio su stalle e pascoli; più distante dalla strada Cascina Mineur (strada della Pellerina 78), cascina con casa padronale, che prende nome dalla famiglia Mineur, funzionari pubblici e proprietari dal 1706 e nasconde dietro al muro di cinta settecentesco un ampio orto-giardino.


A breve distanza dal confine con il comune di Collegno Cascina Grange Scott (strada della Berlia 543), il nome anglofilo sembra legato al fatto che, un tempo, apparteneva ad un abate di origine scozzese, secondo altri la struttura apparteneva semplicemente al Conte Scotti; alcuni campi circostanti la cascina erano un tempo coltivati a canapa. Attualmente è dotata di punto vendita carne e formaggio e di aula didattica dove si può assistere a dimostrazioni agricole, apprendendo i metodi di coltivazione e di allevamento; infine Cascina Berlia (strada della Berlia 545), indicata nel 1579 come Cassine de Nazzery, nel 1762 è denominata Cascina ‘d Lappie’; nel 1805 appare il nome attuale, dato dalla Famiglia Berlia. A fianco dell’edificio sorse nel 1788 una sontuosa Cappella barocca dedicata a San Luigi oggi in rovina.


Il percorso finisce in prossimità dell'Aeroporto di Torino-Aeritalia, (ICAO: LIMA) "Edoardo Agnelli" che si trova nel territorio del comune di Collegno con ingresso in Strada della Berlia n. 500 a Torino proprio difronte alle Cascine Grange Scott e della Berlia sopracitate.
È un aeroporto turistico internazionale in ambito Schengen di categoria 2 ICAO gestito per incarico di ENAC dall'Aero Club Torino che viene utilizzato sia per attività turistica che per scuola (volo a vela e a motore). Dispone di due piste di atterraggio: una in asfalto (10L/28R) di 1 074 × 30 metri ed una in erba (10R/28L) riservata al movimento alianti di 700×30 metri. Dispone inoltre di una pista di atterraggio per elicotteri illuminata, e quindi con possibilita di operare anche di notte munita di un sistema di avvicinamento A-PAPI, oggi principalmente utilizzata dal servizio di elisoccorso.
Sull'aeroporto operano l'Aero Club Torino, il servizio di elisoccorso 118 della Regione Piemonte, attività di gestione di apparati avionici della società DigiSky in collaborazione con il Politecnico di Torino, una società privata che svolge attività di vendita ricambi aeronautici e una scuola di volo.
L'ingegnere Ottorino Pomilio nel maggio del 1916 fondò, con sede in corso Francia, la Società Anonima per Costruzioni Aeronautiche ing. Ottorino Pomilio & C., per la costruzione di velivoli SP2 (Savoia Pomilio), ed il 10 luglio 1916, per il collaudo dei suoi aerei, inaugurò quello che è oggi conosciuto come Aeroporto Torino- Aeritalia, con il volo del prototipo del velivolo militare SP2, pilotato dal sergente Almerigi. Dopo l'aeroporto di Mirafiori (inaugurato nel 1911), che fu operativo fino all'inizio della seconda guerra mondiale, quello di Torino-Aeritalia è stato per almeno due decenni (anni '40 e '50) il principale aeroporto di Torino, che tanta parte ha avuto, e continua ad avere, nella storia aeronautica della città.


Il 23 maggio 1917 alle ore 11.25, decollando dal campo dell’Aeritalia venne inaugurato il primo volo postale italiano. Pilotato dal tenente Mario De Bernardi (collaudatore della Pomilio) il velivolo P.C. (Pomilio Caccia), con a bordo 200 kg di posta e 100 copie della Stampa, atterrò dopo 4 ore e 3 minuti all’aeroporto di Centocelle a Roma alla presenza delle autorità civili e militari.
Nel 1918, la Società Pomilio e l’annesso campo volo vennero ceduti all’Ansaldo e da questa passati più tardi (1927) alla FIAT, che denominò questo complesso "FIAT Aeronautica d’Italia S.A." da cui, nel tempo, l’abbreviazione "Aeritalia". All’epoca in cui la FIAT completò il binomio terra-mare con la parola cielo, il cielo più importante era quello dell’Aeritalia.
Dalla pista dell’Aeritalia, effettuarono il loro primo volo, nell’arco di oltre 30 anni, i prototipi degli SP di Savoia Pomilio, degli SVA di Savoia, Verduzio, Ansaldo, dei Fiat CR e BR di Rosatelli, dei G di Gabrielli. Per il collaudo di questi velivoli la FIAT costruì negli anni ’30 la pista 30 in conglomerato bituminoso di 1 000 × 60 metri, successivamente allungata a 1 500 metri nel 1963. Piloti collaudatori come Brach Papa, Lovadina, Ferrarin, Rolandi, Cus e Catella metteranno a punto, sul campo dell’Aeritalia, macchine che a cavallo delle due guerre porteranno il nome di Torino e dell’Italia ai più lontani confini. Più tardi queste macchine verranno sostituite dai famosi Fiat G.50 e G.55 e G.59 tutti decollati e collaudati su questa pista.
Nell’aprile del 1944 l’aeroporto dell’Aeritalia fu oggetto di spaventose incursioni aeree e fu colpito da oltre 250 bombe durante i ripetuti bombardamenti a tappeto mirati a colpire sia l’aeroporto che la contigua fabbrica di aerei della FIAT Aeritalia. Al termine della guerra l’aeroporto (che era nel frattempo diventato il principale aeroporto cittadino) fu completamente ripristinato ed il 5 maggio 1947 la pista 30 dell’Aeritalia vide la ripresa dei voli commerciali di linea con il primo volo dell'Alitalia che fu anche il primo volo di linea italiano del dopoguerra sulla tratta Torino-Roma. Questa pista vide altresì decollare i prototipi dei primi aerei da trasporto di produzione nazionale messi in linea dalle Avio Linee Italiane nel primo dopoguerra, e rappresentò anche il principale scalo torinese fino al 1953 quando l’aviazione commerciale incominciò ad operare dall’aeroporto di Caselle. La palazzina dell'aeroporto venne ristrutturata nel 1958 dall'architetto torinese Carlo Mollino e nel periodo dal 9 al 14 giugno 2009 è stato sede dei World Air Games. A cavallo fra gli anni sessanta e settanta, sulla pista 30 dell'aeroporto, venivano collaudate le vetture Abarth da competizione. Parte di tale pista esiste ancora oggi, ma non è più utilizzabile dai velivoli.


Gastronomicamente parlando, a Parella si può fare una merenda sinoira o veloce spuntino (anche in versione take-away) a base di salumi e formaggi prodotti dalla Cascina Grange Scott oppure un sandwich fusion da Kebaguette in Via Borgosesia, 88 che rappresenta la sfida decisamente riuscita di Khalid El Moutaouakkil originario di Casablanca di rendere chic e ancora più stuzzicante il tradizionalissimo e popolare kebab. Quando entri da Kebaguette pensi infatti di essere in una boulangerie francese dall'atmosfera calda con toni e colori mediterranei: il profumo però è quello della carne arrostita tipica del kebab a cui si accompagna quello altrettanto buono delle baguette appena sfornate. Il locale è la giusta fusion tra il più tradizionale degli street food nord-africani e medioerientali - ovvero il kebab - e le fragranti e buonissime baguette parigine che vengono servite non necessariamente ripiene di carne ma di una grande varietà di ingredienti, tra cui le buonissime - conterranee del kebab - falafel. Ottima anche la pizza e il kebab in versione arrotolata o servito nel piatto con insalata e patate fritte. Buoni i dolci marocchini (fatti in casa) o la coppa con yougurt, ricotta e pepite di cioccolato.

Per un buon gelato in zona:Bianco Panna in Via Asinari Di Bernezzo, 108.

Per il percorso completo e approfondimenti: "L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro" da pag. 233 a pag. 244

http://it.wikipedia.org/wiki/Parella_(Torino)



mercoledì 10 luglio 2013

Cit Turin: il gusto del Liberty


Cit Turin (in piemontese Piccola Torino) è uno dei quartieri storici di Torino, i cui confini sono Corso Inghilterra, Corso Francia, Corso Vittorio Emanuele II, Corso Ferrucci e fa parte, insieme a S.Paolo e Cenisia, della Circoscrizione 3; è l'unico quartiere di Torino che abbia il nome esclusivamente in lingua piemontese, perché in piemontese il nome Turin è maschile.



Il quartiere si è sviluppato alla fine del XVIII secolo ma gli insediamenti nella zona hanno origini ben più antiche, tanto che nei confini del quartiere sono stati ritrovati reperti di una necropoli d'età preromana.L'etimologia del nome è controversa. La spiegazione più convincente è quella che associa il nome al fatto che l'attuale quartiere fosse il primissimo borgo fuori dalle mura della città in epoca medioevale, lungo la via Francigena. Essendo un'unità amministrativa indipendente ma praticamente attigua alla città, avrebbe assunto il nome di "piccola Torino".
Altre teorie si rifanno al progetto urbanistico del '700 che prevedeva questo borgo come del tutto autosufficiente rispetto alla città. Un'altra spiegazione collega il toponimo alle dimensioni del quartiere (che resta il più piccolo della città) ma la spiegazione non è storicamente accettabile, in quanto nel passato il quartiere centro era diviso in contrade di dimensioni notevolmente più piccole dei confini di Cit Turin.


Cit Turin è da sempre considerato un quartiere residenziale di prestigio: la presenza di lussuosi palazzi d'epoca, di uno dei più rinomati mercati della città, di vie commerciali di pregio ed infine, più recentemente, la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia e della neonata linea metropolitana, hanno reso questo quartiere uno dei più ricercati e costosi.
La piazza principale, cuore sociale e commerciale del quartiere,  è denominata Giardini Martini ma, in pratica, è universalmente nota come Piazza Benefica. La "Benefica" era un istituto di carità che si occupava di orfani che aveva sede (fino agli anni '50 del secolo scorso) proprio su questa piazza: qui al mattino dal lunedì al sabato si tiene uno dei mercati più chic e trendy della città.
Nel quartiere sono presenti numerosi edifici in stile Liberty, Déco e Neogotico in prevalenza ad opera del noto impresario Cav. Carrera. Il Liberty a Torino è riconducibile alla stagione artistica della Belle Époque compresa tra la fine dell'Ottocento e le prime due decadi del Novecento che ha interessato il capoluogo piemontese, coinvolgendo varie discipline artistiche tra cui le arti applicate e, prevalentemente, l'architettura: quest'ultima ha risentito, nelle sue maggiori opere, dell'influenza della scuola parigina, di quella belga e di incursioni eclettiche e neogotiche. Il crescente successo di questa corrente stilistica ha valso al capoluogo piemontese il titolo di capitale italiana del Liberty, tanto da far percepire ancora oggi cospicue testimonianze architettoniche di quest'epoca.



Il Liberty trovò nell'architettura il suo maggior successo, lasciando ai posteri una delle testimonianze più durature. Il suo grande aspetto innovativo non fu tanto nella contrapposizione al Neogotico e all'eclettismo ottocentesco, quanto in una maggiore considerazione delle arti applicate come suo punto di forza, poiché confidò, grazie anche al crescente sviluppo industriale, in una produzione su vasta scala di un'arte che nella sua emblematica bellezza fosse accessibile alla maggior parte del tessuto sociale dell'epoca. Tuttavia, quest'iniziale vocazione populistica del Liberty andò sempre più scemando, evolvendosi in un crescente trionfo di motivi floreali, nervature filiformi e ardite decorazioni metalliche di chiara ispirazione vegetale, divenendo presto privilegio delle più alte classi sociali. In questo Torino, come le principali città europee, seppe accogliere le lusinghe di questo nuovo stile e farne vero e proprio status della nuova borghesia industriale locale e straniera, che nel capoluogo piemontese insediò numerosi stabilimenti.



Torino nel ventennio a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, si lasciò piacevolmente travolgere da questa nuova corrente stilistica. Già a partire dagli anni settanta dell'Ottocento Torino, recentemente depredata del lustro di capitale, si impegnò a ritrovare presto un ruolo che la vide porsi al centro di un rinnovamento, che favorì anche una crescente sensibilità a recepire gli stimoli provenienti dalle maggiori capitali europee, divenendo fulcro di cultura internazionale e di avanguardia artistica. Un decisivo contributo venne anche dall'industria che, coinvolta in primo piano nel processo di rinnovamento del capoluogo piemontese, fu in grado di offrire un solido supporto a beneficio di quelle maestranze necessarie per la piena affermazione di questa nuova corrente stilistica in Italia e che valsero a Torino il titolo di capitale italiana del Liberty. A seguito delle edizioni dell'Esposizione Internazionale d'Arte Decorativa Moderna, Torino vide il crescente proliferare di questo nuovo stile in ambito prevalentemente architettonico, con contributi dei maggiori autori dell'epoca come Raimondo D'Aronco e il torinese Pietro Fenoglio.


Il maggiore protagonista del Liberty torinese fu indubbiamente Pietro Fenoglio, che si dedicò per circa tredici anni alla realizzazione di oltre duecento progetti tra ville, palazzi ed edifici industriali, molti dei quali concentrati nell'area di corso Francia e vie adiacenti. L'opera di Fenoglio è caratterizzata dai colori pastello, dalle decorazioni che alternano soggetti floreali a elementi geometrici circolari e dal largo uso di cornici in litocemento, accostato all'eleganza decorativa, talvolta ardita, del ferro e del vetro, facendone materiali privilegiati.
Tra le sue opere più note si possono citare: il Villino Raby (1901), la celebre Villa Scott (1902) e, soprattutto, la sua opera più nota e apprezzata: Casa Fenoglio-Lafleur (1902), considerata il più significativo esempio di Liberty in Italia.



Il Villino Raby (o Palazzina Raby) fu progettato da Pietro Fenoglio, in collaborazione con Gottardo Gussoni. Nel 1901 l'edificio fu commissionato come abitazione privata da Michele Raby; fortemente rimaneggiato nel corso degli anni, il villino è stato sede di una scuola privata negli anni ottanta e dal 2004 è stato acquistato dall'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Torino (OMCeO), che si è occupato di una attenta ristrutturazione e che l'ha eletto a propria sede ufficiale. Il Villino Raby rappresenta un valido esempio di commistione di due correnti di questo stile, prendendo esempio dalla scuola belga e da quella francese. Il progetto originale di Pietro Fenoglio fu più volte modificato in corso d'opera con l'ausilio del collega Gussoni, interessando prevalentemente le parti in ferro battuto, le balaustre e l'ampio bow-window che giustifica la notevole variazione d'altezza rispetto al resto della struttura. L'influenza di Gussoni si avverte, inoltre, nella ridondante presenza di numerosi elementi decorativi in litocemento che riconducono alle sue tipiche caratteristiche progettuali neobarocche, facendone un esempio paragonabile alla più celebre Villa Scott ma assai differente dalla vicina Casa Fenoglio-Lafleur.
L'edificio si basa su una planimetria asimmetrica sviluppandosi in modo assai articolato e ricco di differenti corpi di fabbrica. Accanto al grande bovindo presente nel prospetto principale si possono notare l'ingresso e la veranda con terrazzo, che è collegato al giardino sottostante dalla breve rampa.


Casa Fenoglio-Lafleur è il vero emblema della stagione del Liberty torinese. Progettata nel 1902 dall’ingegner Pietro Fenoglio come sua abitazione privata, rappresenta una delle più manifeste testimonianze della stagione del Liberty italiano, in grado di competere con le maggiori espressioni di rilevanza internazionale. In realtà Fenoglio e la sua famiglia non abitarono a lungo l’edificio che venne presto venduto all’imprenditore francese Lafleur. Egli lo abitò fino alla sua morte e gli eredi cedettero la proprietà alla nota organizzazione filantropica torinese La Benefica, che ospitò per alcuni anni i suoi "giovani derelitti". Risparmiata dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, l'intera struttura vide un periodo di decadenza, fino a quando fu oggetto di frazionamento per essere nuovamente venduta a privati che si sono occupati di un attento restauro conservativo. Attualmente è sede di alcuni studi professionali e residenze private.
L'edificio si sviluppa su tre piani fuori terra, più il piano mansardato: Fenoglio progettò l’edificio come propria abitazione concependola, secondo il gusto francese dell’epoca, come "casa-studio" e ciò favorì la massima libertà di espressione del proprio talento creativo, celando un probabile intento di realizzare anzitutto un vero e proprio modello estetico, nel pieno della gloriosa stagione del Liberty torinese. Sebbene la struttura sia connotata da un’impostazione piuttosto tradizionale tipica di un’abitazione alto borghese, l'edificio è un ottimo ed equilibrato esempio di uso combinato di materiali. L’apparato decorativo è decisamente ricco ed estremamente coerente con i più ricorrenti stilemi Liberty fitomorfi, che si ritrovano diffusamente in tutto l’edificio ma abbondantemente nel decoro del rosone superiore e nel caratteristico modulo angolare. Quest’ultimo costituisce l’elemento di connessione delle due ali dell’intero edificio ed è impreziosito da un pronunciato bovindo con vetratura policroma che esibisce un sinuoso intreccio in ferro battuto. L’andamento ondivago è piacevolmente riproposto nell’elegante linea dell’edicola in vetro che sovrasta il terrazzino, che pare citare esplicitamente le sinuosità parigine di Hector Guimard.


Degne di nota, in via Piffetti due esempi databili 1908, opera di Giovanni Gribodo; mentre di Giovan Battista Benazzo sono Casa Tasca (1903), che ostenta decori floreali, motivi geometrici circolari e ricche decorazioni in ferro battuto per ringhiere e finestre. All'angolo di via Vassalli Eandi con via Principi d'Acaja, vicino alla Casa Ina di Fenoglio, si può notare un degno esempio dell'architetto Annibale Rigotti: Casa Baravalle (1902). Riconoscibile per le pareti azzurre, è caratterizzata da decorazioni geometriche e da forme estremamente sobrie, quasi a voler anticipare il rigore che prevarrà nel successivo stile Déco.
Di Gottardo Gussoni sono invece i due palazzi di via Duchessa Jolanda, chiari esempi di tardo Liberty databili 1914, nonché gli edifici nella retrostante via Susa, che ripropongono la medesima impostazione: il cortile centrale e il basso fabbricato al fondo, sormontato da una torretta merlata. Il Liberty di Gussoni fu però sempre più caratterizzato da un eclettismo che poi sfocerà in un Neogotico vero e proprio, tanto da diventare uno degli architetti preferiti dal Cav. Carrera.
 

Parallelamente al naturalismo esasperato del Liberty si sviluppò la corrente del Neogotico che fu stile prediletto per la realizzazione di edifici religiosi, avvalendosi del forte richiamo allegorico di ispirazione medievale. Tuttavia il suo eclettismo influenzò anche l'architettura civile e anche a Torino vi sono esempi di tale contaminazione, come la Casa della Vittoria (1918-20) di Gottardo Gussoni: uno degli edifici più imponenti e rinomati del Neogotico che sorge al civico 23 di Corso Francia, sposando reminescenze medievali con le sue linee architettoniche sinuose e i dragoni rampanti che ornano il portone d’ingresso.



Sempre nel medesimo quartiere è degno di nota anche l'operato dell'architetto Giuseppe Gallo, a cui si deve il progetto della Chiesa dedicata a Gesù Nazareno affacciata su piazza Martini. Ulteriori esempi di edifici in stile Neogotico sono evidenziabili in prossimità del vicino quartiere San Donato con il gruppo di case di via Piffetti, famose per i ferri battuti, le caratteristiche sfingi e le decorazioni a coda di pavone.



 
Oltre a Corso Francia, l’altra via del Liberty torinese in Cit Turin è Via Cibrario: si lascia il coté più residenziale degli edifici tra corso Francia e Via Cibrario e si approda ad un’arteria decisamente più animata e commerciale attraversata quasi per intero dallo storico tram 13.
Al civico 9 Casa Padrini, progettata nel 1900, condivide alcune soluzioni comuni ad altre abitazioni della prima produzione di Pietro Fenoglio, quali la scala interna a pianta irregolare e i motivi floreali dipinti sulla facciata. L’edificio di civile abitazione a cinque piani, situato nell’isolato fra le vie Cibrario, Piffetti  e l’antica ferrovia di Rivoli, fu commissionato dai fratelli Padrini a Pietro Fenoglio (1865-1927). Il massiccio volume del fabbricato viene ingentilito dal disegno della facciata scandita da cinque file di aperture e dall’inserimento di paraste. Risalente alla prima produzione liberty di Fenoglio, l’edificio è inoltre impreziosito da delicate pitture a motivi floreali sopra all’imponente bifora del balcone d’angolo e tra i balconi aggraziati dell’ultimo piano, dove esplodono nel fregio dipinto i contrasti cromatici tra sfondo, corolle, racemi, un motivo in seguito ripreso dallo stesso Fenoglio e ingentilito da colori più tenui nella palazzina Rossi Galateri (1903).



 
Al n° 22 Casa Bellia costruita nel 1908-1909 da Eugenio Mollino, l’abitazione asseconda il ritorno alla tradizione neoclassica nella facciata principale, mentre nelle flessuose decorazioni in ferro dei balconi, sul lato secondario, persistono motivi naturalistici liberty.  Il palazzo, inserito in un grande lotto rettangolare, fu ricavato da un edificio preesistente, oggetto di diversi ampliamenti sin dalla fine del XIX secolo. La casa venne fatta costruire nel 1908 da Alberto Bellia su progetto dell’ingegnere Eugenio Mollino (1873-1953), cui si deve anche l’edificio al numero civico 26, all’angolo con via Schina (1901).
Nel 1909 fu aggiunto l’imponente bow-window angolare a pianta poligonale con terrazza distribuito su tre livelli; esso è caratterizzato da sette grandi finestre ornate da elementi decorativi floreali e fregi geometrici che continuano le decorazioni delle facciate. L’affaccio su via Cibrario segna un ritorno alla tradizione neoclassica ed è più austero rispetto al lato su via Saccarelli, dove sopravvivono reminiscenze liberty, già sperimentate con modi analoghi nell’edificio di via Cibrario 26, nelle ringhiere in ferro battuto decorate da flessuosi racemi e, soprattutto, nelle sagome sinuose e aeree dei balconcini al terzo piano.



 
Al 33 bis troviamo Casa Noro Borione, progettata nel 1906, che appartiene alla tarda attività di Angelo Santoné, con le novità liberty per aggiornare con elementi decorativi naturalistici e sobri finestre e balconi. La casa a quattro piani fu progettata, su commissione del geometra Giovanni Noro e di Agostino Borione, come rivela il nome, dall’ingegnere Angelo Santoné (1853-1908), ormai al termine della lunga e fortunata carriera che lo vide artefice di molte abitazioni nelle zone Centro, Crocetta e San Salvario.
Le ampie finestre e i balconi, incorniciati da decorazioni litocementizie, scandiscono con misurata regolarità la facciata, resa più leggera dai flessuosi ornati in ferro battuto che prendono il sopravvento nei balconi via via che si sale di piano. Il paramento murario, trattato con laterizio a vista, si oppone cromaticamente alle plastiche decorazioni delle finestre, caratterizzate da tralci carnosi. La volontà del progettista di aggiornarsi sugli stilemi della breve stagione liberty emerge dalla scelta di motivi geometrici e fitomorfi per le eleganti ringhiere dei balconi, probabilmente ispirate ai ferri battuti delle case Rey e Macciotta, progettate nel 1904 da Pietro Fenoglio (1865-1927), il quale lavorerà per i costruttori Noro e Borione, nella casa in via Peyron 14 (1908).



Ai n° 61 e 63, gli edifici progettati nel 1909 e 1910 da Pietro Fenoglio, note come Case Rama presentano elementi decorativi vicini più al gusto Sezession che agli ornati floreali del liberty francese; l’edificio al numero 65, progettato dall’ingegner Giuseppe Maria Giulietti nel 1912, appartiene ormai al tardo liberty. Le case ai numeri civici 61 e 63 vennero commissionate all’ingegnere Pietro Fenoglio (1865-1927) da Eugenio Rama, rispettivamente negli anni 1909 e 1910; l’abitazione al numero 65 venne progettata dall’ingegnere Giuseppe Maria Giulietti nel 1912.
Gli edifici, costruiti come differenti case di civile abitazione, si presentano come un unico grande volume caratterizzato dalla stessa intenzione progettuale. Nella casa al numero 61 l’interessante bow-window all’angolo con via Morghen si sviluppa a partire dal primo piano e culmina con un terrazzino; il disegno della facciata, superato lo zoccolo commerciale, è scansito dalle aperture delle finestre, definite da cornici decorate con motivi e disegni floreali, mentre il paramento murario è percorso da forme fitomorfe dipinte e plastiche ed è caratterizzato dalla policromia data dall’alternanza dei mattoni a vista e del litocemento. Le tensioni verticali delle paraste sono ribadite dalla saldature delle modanature delle finestre, dove compaiono elementi plastici decorativi di gusto Sezession, accentuate dai rilievi in cemento a pendaglio sotto il tetto. I balconi sfalsati assecondano lo schema di alleggerimento verso l’alto, grazie alle ringhiere in ferro battuto; il medesimo materiale ricorre negli inserti del portone in legno scolpito, nel lampadario dell’androne, nelle ringhiere. La casa al numero 65 fu progettata nel 1912 dall’ingegner Giuseppe Maria Giulietti, documentato tra il 1910 e il 1915. In seguito all’esposizione torinese del 1911 che decretò il declino del liberty, il gusto estetico si orientò nuovamente verso il gusto eclettico, in corrispondenza del momento di crisi personale di Fenoglio ormai in procinto di abbandonare la sua attività progettuale ben avviata. Nell’edificio al numero 65 morì lo scrittore torinese Guido Gozzano (1883-1916), come recita la lapide a sinistra del portone d’ingresso.


 
Altri importanti edifici di epoca più recente presenti nel quartiere sono il Palazzo di Giustizia, intitolato al magistrato Bruno Caccia, barbaramente ucciso dalla mafia nel 1983, ha una superficie di quasi 60 mila metri quadri. L’edificio richiama le componenti del tessuto urbano della città storica, delineando uno sviluppo orizzontale contenuto nell’altezza, ritmato da elementi compositivi che creano un insieme armonico con il costruito circostante 



e il grattacielo Intesa Sanpaolo, che sarà la sede dell'omonimo gruppo bancario e, una volta ultimato, sarà l'edificio più alto di Torino dopo la Mole Antonelliana. La sua area è di circa 160 x 45 m compresa tra corso Inghilterra, corso Vittorio Emanuele II, via Cavalli e il parco pubblico Nicola Grosa. Dovrebbe fare coppia con il previsto grattacielo FS del complesso della nuova stazione di Porta Susa, dall'altro lato di corso Inghilterra.
Il progetto dell’archistar Renzo Piano è stato presentato al Comune di Torino nel mese di novembre 2007 ma in seguito a divergenze interne alla giunta e riguardanti l'altezza dell'edificio in relazione alla sua vicinanza al centro storico della città, è stato modificato portando l'altezza definitiva da circa 200 a 167,25 m: 25 centimetri in meno rispetto alla costruzione più alta della città e simbolo della medesima, la Mole Antonelliana.


Anche a Cit Turin la sosta gastronomica non può che essere trendy-chic: la scelta è tra Papille (in Via Principi d'Acaja, 37) in zona mercato di Piazza Benefica: un chic self-service boutique dove
la location la fa da padrona: tanti spazi tutti arredati in modo molto elegante, a metà tra il vintage e il trendy chic. A pranzo poi dà sicuramente il meglio di sé con un bancone a vetrina da cui è possibile scegliere tra vari piatti freddi e caldi tutti molto sfiziosi a metà tra tradizione e etnicità; 2/3/4 scelte a 7/8/9 Euro; noi abbiamo assaggiato un ottima insalata di quinoa, tabulè con cuscus di riso, prosciutto cotto senapato, tomini freschi al verde e con salsa ai peperoni, zucchine alla menta e cavolo verza all'indiana, dolci buoni (cheesecake con frutta fresca e torta con mandorle e cocco e salsina allo yogurt e sesamo) a 3,50 euro, pane e acqua gratuiti e a volontà. Possibilità di acquistare prodotti (food e non food) disseminati qua e là nel locale. Nella stagione estiva aperto dalle 07:30 alle 21:00 con possibilità di consumare colazione, pranzo, apertivo o anche solo una fetta di torta con bevanda;



dal coté pizza si può provare la diafana ed essenziale Bakery Pizzeria & Restaurant (in Via Avigliana, 47/A): un locale che non ti aspetti in una tranquilla via del quartiere, uno spazio davvero piccolo che ospita qualche tavolo, quadri di artisti contemporanei alle pareti (a rotazione), gestione attenta e accogliente e soprattutto una pizza davvero buona: l'impasto è quello della tipica pizza napoletana, morbida con il cornicione alto ma accostamenti non scontati: la mia preferita è la Guancho con salamino piccante, gorgonzola e cipolla di Tropea marinata; digeribile e davvero gustosa.


Per una pausa a base di golosità siciliane da Sicily in via Cibrario, 17/E oppure un cafè au lait e qualche gourmandise dal sapore tutto parigino al Cafè Le Sourire di Corso Francia, 35/D.

Per il percorso completo e approfondimenti: "L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro" da pag. 197 a pag. 208

http://it.wikipedia.org/wiki/Cit_Turin
http://it.wikipedia.org/wiki/Liberty_a_Torino

 

martedì 2 luglio 2013

Vanchiglia: storica, creativa, popolare



Vanchiglia (in piemontese Vanchija) è uno dei quartieri storici di Torino, situato tra il quartiere centro e la confluenza dei fiumi Po e Dora Riparia, appartenente alla VII circoscrizione, delimitato a nord dal fiume Dora Riparia (LungoDora Siena), a est dal fiume Po (lungoPo Antonelli), a sud da Corso San Maurizio, a ovest da Corso San Maurizio - confluenza in Corso Regina Margerita.
Durante il Medioevo, questa zona si trovava al di fuori delle cinta murarie della cittadella, a pochi passi dalle porte romane decumana e Fibellona (l'attuale Piazza Castello); l'urbe terminava immediatamente al di là dei Giardini Reali voluti da Emanuele Filiberto I di Savoia nel XV secolo, attraverso un bastione militare il cui nome, d'origine incerta ma intuibile, fu chiamato Contrada del Cannon d'oro (zona di Via Montebello); quest'area rimase fortificata fino all'arrivo di Napoleone Bonaparte all'inizio dell'Ottocento, che fece abbattere il bastione, rendendo quindi il terreno più instabile e dando successivi problemi alla futura costruzione della Mole Antonelliana, attuale simbolo di Torino. Parimenti, tale Contrada inglobò successivamente anche l'altra più adiacente al Palazzo Reale (XVII secolo), e parallela alla via di Po (la attuale e celebre Via Po), e chiamato Contrada della Posta o Contrada dell'Ippodromo (attuale inizio di Via Rossini e Via Verdi), poiché vi erano le regie scuderie ippiche, costruite tra il XVII e XVIII secolo, spesso utilizzate per il trasferimento di merci e comunicazioni, oggi rivalutate nei due edifici denominati, appunto, Cavallerizza Reale. Tuttavia, tutte queste Contrade furono poi unificate nell' unico Centro storico di Torino, mentre Vanchiglia fu circoscritta verso tutta parte a nord-est di Corso San Maurizio, un prestigioso viale da poco aperto e alberato da Vittorio Emanuele I nel 1818, e dedicato al santo del III secolo protettore della casata.


Il borgo Vanchiglia si sviluppò quindi verso le rive dei fiumi Po e Dora maggiormente tra il XVIII e il XIX secolo, costituito soprattutto da casette fatiscenti, su terreni paludosi e viottoli melmosi, in cui l’acqua del fiume filtrava senza posa, tanto da venir denominata la Contrada del moschino (moscerino), ma anche Contrada dle pules (Contrada delle pulci), e cioè l'attuale zona di via Bava e via Napione. Nelle misere casette vi abitavano, in un'atmosfera maleodorante e insalubre, soprattutto pescatori, lavandai, barcaioli, artigiani e contadini. Fu solo nel 1872 che il sindaco Felice Rignon dispose l’abbattimento di tutto il Borgo, fortemente preoccupato della grave precarietà igienica (vi era stata da poco un'epidemia di colera).
Il piano urbanistico di rivalutazione di tutto il Borgo era comunque in atto già da circa dieci anni, con l'Unità d'Italia e l'incipiente prestigio della città sabauda. Nel 1862-1866 sorse infatti la bella chiesa di Santa Giulia, opera neogotica di Giovanni Battista Ferrante e voluta dalla marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo. Il Borgo proseguì quindi nella forma odierna in seguito all'imponente ristrutturazione urbanistica che ha avuto luogo a cavallo della rivoluzione industriale in Piemonte alla metà del XIX secolo. Ma la tardiva urbanizzazione di una zona così vicina al centro città non deve stupire, perché rimaneva sempre una zona paludosa ed insalubre. Altro elemento che ha ritardato la piena urbanizzazione è il fatto che fosse considerata una zona estremamente fertile, tanto che ancora nel 1852 il cronista Davide Bertolotti la descriveva in questi termini:
« ...i prati maggiormente produttivi di Torino sono quelli che trovansi nella regione così detta di Vanchiglia: imperroché colà si scaricano le acque che trasportano l’immondizia della città, le quali mentre fecondano mirabilmente quelle terre, diffondono all’intorno effluvj nocivi all’umana salute. E nella regione di Vanchiglia appunto manifestaronsi i primi casi di colera allorché questo micidiale morbo invase la nostra città, dove però, Dio mercé, poco si diffuse e in breve spazio si spense... »
Rispetto ad altri quartieri di Torino, Borgo Vanchiglia ha conservato per decenni una forte caratterizzazione di quartiere popolare, ben definibile sia socialmente che politicamente.
È indicativo il fatto che sia l'unico quartiere di Torino che preveda un termine (Vanchigliese) utilizzato sia per indicare i suoi abitanti, sia -come aggettivo- per indicare qualunque elemento sia originario della zona. Recentemente la favorevole posizione centrale, e la vicinanza alla sede dell'Università di Torino ha portato ad una graduale trasformazione in quartiere residenziale.



Negli ultimi anni, Borgo Vanchiglia si è affermato come uno dei poli propulsivi della creatività torinese. Alle botteghe artigiane ancora presenti si sono affiancate realtà artistico-culturali di diverso ambito: architettura, design, scultura, pittura, teatro, musica, cinema, video, fotografia, letteratura, grafica, illustrazione, comunicazione, suono, multimedia.
In Via Artisti operano dal 2007 due società di produzione cinetelevisive, la Baby Doc Film e la iK Produzioni, che stanno dando vita al movimento cinematografico de I Vanchigliesi. Nel 2004 nasce in Vanchiglia "Design Gang", studio di progettazione che si occupa di prodotto, comunicazione, allestimento d'interni, didattica e ricerca, composto da persone provenienti da ogni angolo d'Italia. Dal 2006 la "Fondazione Artevision" ha spostato la sua sede in Vanchiglia, come scuola di fotografia e sede organizzativa di eventi artistici quali l'"Internazionale D'Arte LGBTE" e il "Turin Photo Festival" dal 2011. Nel 2009 ha preso forma LOV / Vanchiglia Open Lab, network in progress, spontaneo e indipendente, che raccoglie studi, laboratori, attività, di Borgo Vanchiglia, che operano nei settori dell’arte, della cultura e della creatività.
Nel panorama artistico-culturale si inserisce a pieno titolo il Teatro della Caduta, inaugurato nel 2003 in via Bava, 24 che, con i suoi 45 posti è il più piccolo teatro in attività a Torino e fra i più piccoli in Europa.



Anche l’intervento di ristrutturazione urbana dell’area pedonale di Via Balbo, tra Via Guastalla e Via Buniva, è andato nella direzione di ripensare lo spazio pubblico per renderlo davvero tale con la valenza artistica di ampi e coloratissimi murales naif del progetto Murarte: lo spazio residuale di passaggio è stato riqualificato come centro di una rete che unisca i diversi soggetti sociali che operano nelle vicinanze: il sopracitato Teatro Della Caduta, il centro sociale Askatasuna, l’associazione Giardino per tutti,  l’asilo nido ‘Il giardino delle fiabe’ e la scuola elementare Fontana, la chiesa di Santa Giulia e l’oratorio.



Il nostro percorso a Vanchiglia inizia in Largo Montebello, a ridosso di corso Regina Margherita, aperto verso la metà dell'Ottocento all'incrocio tra via Santa Giulia, che lo taglia da est ad ovest, e di via Montebello (anticamente detta del Canon d'oro, al pari del largo) da nord a sud.
Il nome deriva dal comune in provincia di Pavia in cui il 20 maggio 1859, nel corso della seconda guerra d'Indipendenza, i sardo-francesi ebbero la meglio sulle truppe austriache; Largo Montebello è particolarmente fascinoso sia per l’allure parigino che qui sembra respirare, sia per la sua forma perfettamente tonda, sia per i palazzi che vi si affacciano. Notevole, ad esempio, quello in mattoni paramano al numero 31, dove una lapide ricorda i caduti partigiani di Vanchiglia. Sulla facciata del civico 38 è invece apposta una targa che ricorda come in quella casa abbia abitato Eugenia Barruero, la celebre maestrina dalla penna rossa raccontata da Edmondo De Amicis in Cuore. Nel centro, un giardino con uno scivolo, un altro gioco per l'infanzia e tante panchine per chi qui vuole sostare, rinfrancarsi in luogo che sa di altro.


La piazza principale di Vanchiglia è piazza Santa Giulia, sede di un noto mercato e della chiesa parrocchiale (dalla quale prende il nome): la Chiesa di Santa Giulia, che fu fatta costruire dalla filantropa Giulia di Barolo alla metà del XIX secolo su progetto del 1862 dell'architetto Giovanni Battista Ferrante, in stile neogotico.
Già dal 1844, su idea di Alessandro Antonelli, si predispose la ridisegnazione dell'assetto urbano di Vanchiglia, ma per vedere il progetto di una chiesa bisognerà attendere il 1862: in precedenza, Antonelli aveva semplicemente suggerito al comune la necessità di costruire una chiesa nuova per Vanchiglia, che aveva come parrocchiale di riferimento la chiesa della Santissima Annunziata in Via Po; dal 1862 la marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo finanziò la costruzione della chiesa, intitolandola alla santa che portava il suo nome. La marchesa di Barolo non vide l'opera completata: morì due anni prima la fine dei lavori (1866).
La chiesa fu uno dei primi edifici torinesi ad essere realizzata in stile neogotico, seguita poi da numerosi altri edifici di culto e civili fino a fine secolo. La facciata è tripartita, con tre rosoni, dei quali il più grande è quello che caratterizza la navata centrale. Nella lunetta che sovrasta il portale, un bassorilievo di Giuseppe Albertoni raffigura la Fede. I coniugi Falletti di Barolo sono altresì raffigurati dall'Albertoni in due statue, poste presso i due ingressi della chiesa; la marchesa Giulia, nondimeno, venne qui sepolta nel 1899.



La Fetta di Polenta, situata in corso San Maurizio all'angolo con via Giulia di Barolo, è uno dei palazzi più bizzarri dell'architettura torinese. È alta 27 metri, lunga 27 metri su via Giulia Di Barolo, larga 5 metri su corso San Maurizio ed appena 0,70 metri sul terzo lato. Opera degna dell’originalità dell’ingegnere Alessandro Antonelli (1798-1888), l’edificio fu realizzato nel 1840 su un esiguo appezzamento triangolare, quasi una scommessa per lo scarso spazio a disposizione. Fallite le trattative per ampliare l’area con l’acquisto della proprietà adiacente, Antonelli aveva voluto infatti dimostrare di essere comunque in grado di costruire una casa, recuperando in altezza ciò di cui non disponeva in larghezza. Il fabbricato, poi sopraelevato nel 1881, risulta pertanto slanciato in verticale su una base ristretta, caratterizzato all’interno da ambienti adattati a tali peculiarità, persino con l’inserimento nella parte più stretta di stanze triangolari che richiesero la realizzazione di appositi arredi. A tale andamento sono d’altra parte perfettamente conformati i prospetti sulle vie, scanditi da finestre in aggetto di inconsueta forma allungata e da leggere lesene, mentre il cornicione dell’ultimo livello è inglobato nel balcone, non essendo possibile appesantire l’esile struttura con ulteriori elementi.
Dipinta in esterno di giallo, la costruzione, vero e proprio spaccato volumetrico a base triangolare, fu così denominata “fetta di polenta”; l’edificio innalzato in seguito sul terreno contiguo in parte ha mitigato la singolarità del palazzo. Fra le più interessanti opere prodotte dall’urbanizzazione di zona Vanchiglia, la “fetta di polenta” resta una magistrale prova della tecnica che il progettista avrebbe portato alle sue estreme conseguenze nella celebre Mole a cui sarebbe rimasto legato il suo nome. In questo edificio ebbe sede il Caffè del Progresso, rifugio di carbonari e cospiratori nel periodo preparatorio dell'unità d'Italia.



Due dei più celebri vanchigliesi sono certamente Fred Buscaglione, la cui abitazione era nella popolare Via Bava al numero 26 bis, e Italo Calvino, che ha vissuto invece in Via Santa Giulia, 80 in una palazzina che sembra un residence per vacanze, sospeso tra città e non, che si affaccia direttamente sul Po, oltre il quale si distende il Parco Michelotti; il legame tra il quartiere e i suoi artisti, è stato quanto mai vivo in Calvino che ha immortalato i suoi anni torinesi, il fiume e la collina ne I giovani del Po, La nuvola di smog e in altri suoi racconti.



Forte connotazione architettonico-artistica è quella dell’edificio di Via Bava, 40 progettato da Ezio Luzi, che presenta un bizzarro cortile con colonne a mattoni incrociati, quasi fossero strutture in mattoncini Lego, e pareti laterali con pannelli colorati, illustrazione curiose, piastrelle lucide e molto verde.



All’incrocio tra Via Vanchiglia e Corso Regina Margherita, al n° 33 del corso, sono tuttora in funzione i bagni e lavatoi municipali: un impianto edificato nel 1908 su progetto di Camillo Dolza (1868-1946), ingegnere presso l’Ufficio Lavori pubblici del Comune, all’insegna di stilemi desunti dall’art nouveau intrisi di reminiscenze che sembrano richiamare l’opera dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì (1852-1926).







Colorata e imponente presenza del quartiere è il C.S.O.A. Askatasuna dal 1996, emblema del filo storico del quartiere dalla connotazione popolare alla vicinanza all'università. Il centro è sempre stato punto di riferimento di numerosi collettivi, sede del comitato di quartiere e della Ludoteca Popolare che da anni animano il borgo. Da sempre è uno dei motori della musica underground e indipendente della città.


La dimensione popolare e l’alto tasso studentesco del quartiere sono chiari anche nella presenza delle tante osterie, più o meno storiche, che rappresentano, un po’ come per gli altri quartieri popolari di Torino come San Paolo e Cenisia già visitati e bloggati, un‘ottima soluzione gastronomica durante il percorso.



Tra le tante si segnalano l’Osteria Ala (in Via Santa Giulia, 24 – chiusa la domenica)   che dal 1950 mantenendo intatta la sua tradizione di sapori casalinghi e genuini, offre un mix di piatti che partono dalla tradizione culinaria toscana per arrivare alla più classica "cucina della nonna" e concludersi nei piatti della migliore tradizione nazionale con una scelta variegata di piatti di terra e mare che cambiano in base ai giorni della settimana e alla stagioni rimanendo in una fascia di prezzo sotto i 20 euro, l’Osteria La Gaia Scienza (in Via Guastalla, 22 – chiusa il lunedì)  un classica piola di borgata che presenta in unn ambiente d’antan tutto legno e ferro battuto i sapori più tipici della cucina piemontese e nazionale, a partire dal carrello con i tradizionali antipasti piemontesi a buffet, l’Osteria In Vino Veritas (in Via Giulia di Barolo, 50/A – aperta solo alla sera ) ; una rustica e genuina trattoria con sapori che ben cociliano  calabria, puglia e piemonte. Se si mangia dentro si è completamente circondati dai vini (come rivela il nome del locale) e l'atmosfera non è male; se si sta nel dehors, non sembra quasi di essere a Torino, nello spazio pedonale di Via Giulia di Barolo a breve distanza da Piazza Santa Giulia e la movida di Vanchiglia.Tanti vini e contenute ma interessanti proposte culinarie che spazio tra il Nord e il Sud italia, come rivelano già subito i taglieri di salumi e/o formaggi. Ricco e abbondamente l’Antipasto misto dell'osteria (tanti e diversi formaggi - di varia stagionatura e provenienze geografiche - serviti con confettura e miele, salumi, olive piccantine, frisella con pomodoro e crostone con paté di capperi) a 12 euro, Orecchiette (rigorosamente fatte in casa fresche ogni giorno) pasticciate con pomodoro, basilico, provola e ricotta dura a scaglie (8 euro), Polpette di carne al sugo della Nonna (7 euro) e Patate al forno (4 euro); il pane è buono, grissini confezionati e molto carina l'idea del caffè con la moka portata in tavola. Infine l’ultima aperta Osteria Vanchiglia (in Via Vanchiglia, 16 – chiusa la domenica a pranzo): un posticino semplice, famigliare, veloce, giovane e poco costoso che si spera non possa che crescere e migliorare.



Per una scelta gastronomica altrettanto low-cost ma più consapevole ed ecosostenibile La Locanda Leggera (in Via Napione, 32 - chiusa la domenica),  dove gli ingredienti venduti sfusi al Negozio Leggero accanto sono trasformati in colazioni, pranzi e brunch (il sabato) che restano gustosi ma leggeri (in tutti i sensi): l’acqua è gratuita, il wi-fi è free e l’atmosfera calda e raccolta. I prezzi sono piacelvomente economici, pur essendo i prodotti a km0 e di qualità elevata con un occhio di riguardo anche agli avventori vegani e vegetariani.



Per i cali di zucchero e gli amanti della Trinacria dolce, la tappa è d’obbligo alla Pasticceria Primavera (Via Sant’Ottavio, 51) verace e storica pasticceria siciliana che offre tutti i prodotti tipici dell’isola e un ottima granita siciliana servita con le tipiche e sempre freschissime brioscie col tuppo.



Per il percorso completo e approfondimenti: "L'altra Torino. 24 centri fuori dal centro" da pag. 345 a pag. 354